Brexit, May lavora a un’offerta per Bruxelles ma è spaccatura con Johnson

Sono trascorsi 15 mesi dal referendum che diede il via alle operazioni di uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Eppure, a distanza di tale lasso di tempo, da oltremanica tutto traspare tranne che un netto percorso comune sul come e sul quando. L’ultimo nodo, in ordine cronologico, è emerso all’interno dei Tories, andando a coinvolgere il primo ministro, Theresa May, e il capo del Foreign office, Boris Johnson. Nella giornata di venerdì, l’ex sindaco di Londra aveva riportato sul Daily Telegraph, testata con la quale collabora, la sua visione di un Regno Unito prospero grazie agli effetti post-Brexit, rincarando la sua figura di sostenitore di vecchia data del “leave” ma, allo stesso tempo, evidenziando quella che, in qualche modo, è stata letta come una divergenza di non poco conto con l’inquilino di Downing Street.

Johnson minaccia dimissioni?

In un momento particolarmente caldo tra Londra e Bruxelles, ancora in piena fase di trattativa per la definizione delle condizioni di uscita, Johnson avrebbe ribadito la sua visione di una “linea dura” da adottare nei confronti dell’Ue, definendo le strategie di May svantaggiose per la Gran Bretagna e, sembra, arrivando a minacciare le sue dimissioni in caso il suo appello restasse inascoltato. Il nodo centrale della linea proposta da Johnson, ritenuta la vera crepa con la leader dei Tories, risulta essere il cosiddetto “modello svizzero”, ossia l’accesso al mercato comune attraverso un accordo bilaterale che permetta a Londra di restare nell’ambito della libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali (a patto che nessuno di questi requisiti venga meno) con un contributo da versare che, prevedibilmente, non sarà esattamente economico.

May, 20 miliardi a Bruxelles

L’eventualità ha fatto sobbalzare il conservatore, sostenitore a oltranza dell’addio al mercato comune che, a quanto pare, rientrerebbe nelle intenzioni dell’ala moderata del governo (May compresa). Una sorta di uscita senza troncare del tutto i rapporti, quella pensata dal primo ministro che, nel tentativo di non ritrovarsi a un addio burrascoso nel 2019, sarebbe disposta a versare diversi miliardi di sterline nelle casse di Bruxelles (si parla di un’offerta di 20 miliardi, secondo quanto riportato dal Financial Times). Una linea d’azione del tutto lontana dal “conto leggero” invocato da Johnson, pronto al primo faccia a faccia post-articolo con la premier May, a New York. La visione dell’ex sindaco di Londra ha agitato un po’ le acque in casa Tory ma, allo stesso tempo, contribuito a circoscrivere il Johnson-pensiero: “In circostanze normali un ministro degli Esteri sarebbe stato cacciato – ha tuonato Kenneth Clarke-. Johnson dovrebbe dare qualche serio contributo in politica estera e dire la sua visione sulla Brexit privatamente”. Ancor più schietto il commento di May: “Boris is Boris”.