La cattiva coscienza fa acqua da tutte le parti

Chi fugge da persecuzioni, guerre e carestie non ha certamente paura del covid. Le rotte di terra e di mare non si sono mai interrotte in pandemia: si è continuato a migrare per forza di disperazione. E’ di pochi giorni fa l’ennesimo episodio di disumanizzazione connessa alla tratta degli esseri umani. Stavolta ne ha fatto le spese una creatura di cinque mesi il cui corpicino è stato restituito dalle acque come una bambola in balia delle onde del destino. Ed è qui che siamo tutti chiamati a non voltare la testa dall’altra parte davanti a queste tragedie senza nome e a questi poveri indifesi che sono figli nostri pur non “meritando” l’attenzione dei mass media.

La Giornata mondiale del rifugiato ha un significato che si misura anche in decine di milioni di sfollati interni costretti a lasciare le loro abitazioni e a ritrovarsi profughi in casa propria. Papa Francesco ha dedicato a loro il messaggio sulle migrazioni di quest’anno, ricordando che ottanta milioni di nostri fratelli sono stranieri in patria ( dieci milioni in più rispetto al 2019 ). Uno strazio che rimpinza le tasche alle organizzazioni criminali e ai clan terroristici che trasformano tragedie personali e collettive in opportunità di arricchimento e di potere.

Foto © Vatican Media

Ho ascoltato centinaia di racconti di profughi le cui testimonianze non finiscono mai su giornali e nei documenti parlamentari. Si parla di queste persone senza mai dare loro il diritto di far sentire la propria voce. Sono trascorsi mesi di esclusivo interesse per l’emergenza sanitaria senza che nelle sedi istituzionali fosse spesa una sola frase sul dramma della migrazione coatta. Quasi che gli invisibili, costretti a mettersi in viaggio malgrado il coronavirus, fossero dei trascurabili effetti collaterali di una situazione complessivamente allarmante. E invece (con l’esclusiva sollecitudine del Pontefice) in sei mesi, quasi trecento decessi sono stati censiti nel Mediterraneo, sempre più “bara d’acqua” e olocausto sofferente di una globalizzazione che mette in secondo piano le fragilità e le debolezze di intere fasce della popolazione mondiale.

In questa occasione di ritrovata, seppur giornaliera centralità conferita alla piaga planetaria dei profughi, auspichiamo il rafforzamento immediato dei corridoi umanitari in tempo di pandemia. Mai come adesso è indispensabile controllare i flussi migratori sia per scongiurare nuove tragedie del mare sia per garantire controlli sanitari adeguati su chi sbarca in Italia quindi in Europa. A farsene carico, per ragioni di ordine umanitario e di salute pubblica, devono essere le autorità sanitarie nazionali e sovranazionali perché nessuno sa davvero quali siano le condizioni della pandemia nelle terre di origine e di transito dei flussi. Per non trovarsi a dover gestire focolai nei centri di accoglienza occorre monitorare e indirizzare attraverso i corridoi umanitari numeri, cioè persone, gestibili dalla rete italiana ed europea di accoglienza. Non farlo equivale a rendersi complici della strage di innocenti, come la neonata ritrovata senza vita dopo un naufragio, indosso una tenera tutina con un orsacchiotto. Fino a quando lasceremo che le acque restituiscano alla nostra cattiva coscienza l’orrore che fingiamo di non vedere?