ISLANDA CHOC: CONTRO I BAMBINI DOWN

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L’Islanda si avvia a diventare il primo Paese al mondo “Down free”. Da cinque anni, infatti, nell’Isola di Ghiaccio non nasce più nessun bimbo con la Trisomia 21, condizione cromosomica causata dalla presenza di una terza copia (o una sua parte) del cromosoma 21. Lo testimonia un medico islandese, Peter McParland che, durante una conferenza al National Maternity Hospital, ha evidenziato come nel suo Paese “ogni singolo bambino, il cento per cento di quelli a cui è stata diagnosticata la sindrome di Down, viene abortito”.

Selezione eugenetica

Lo scioccante dato è frutto del fatto che, nell’isola del nord Europa, gli screening prenatali non vengono più percepiti come mezzi diagnostici sulla salute del nascituro ma piuttosto come preludio a un’eventuale interruzione di gravidanza laddove il feto dovesse presentare anomalie genetiche.

La paura per la propria salute e per il futuro del bambino sono le motivazioni che spingono le donne islandesi ad abortire. Nell’isola vulcanica, infatti, l’Ivg è consentita in caso di deformità – e la sindrome di Down è inclusa in questa categoria – fino alla 16esima settimana. Praticamente, un bambino già formato della grandezza e del peso di un pacchetto di sigarette!

Le statistiche

Ma quanti bimbi, in percentuale, hanno questa sindrome? Secondo l’organizzazione mondiale della sanità, l’incidenza della Trisomia 21 è compresa nell’intervallo 0,9 ÷ 1 caso ogni 1000 individui nati vivi. Negli Stati Uniti, il centro per la prevenzione e il controllo delle malattie fornisce una stima più elevata, con circa 1 bambino su 691.

Il numero di aborti

Con una popolazione di circa 330.000, l’Islanda ha in media solo uno o due bambini nati con la sindrome di Down all’anno, in genere perché i loro genitori hanno ricevuto risultati di test prenatali sbagliati, che assicuravano un neonato “sano”. Gli aborti selettivi, invece, rappresentano il 100% dei casi risultati positivi nei test: in pratica, meno di 5 casi l’anno.

Non va molto meglio in Nazioni più popolose. Secondo i dati più recenti, infatti, il “tasso di terminazione” dei feti con Trisomia 21 negli Stati Uniti è del 67%: secondo la National Down Syndrome Society, in America nascono solo 6.000 bambini con la sindrome ogni anno. In Francia, l’aborto selettivo è effettuato nel 77% dei casi. In Danimarca addirittura nel 98%: nel 2015 sono nati solo 31 bambini. Il Paese scandinavo si avvia quindi a diventare la seconda nazione al mondo a diventare “Down free”.

In Italia

Ma come si comporta l’Italia, culla della cristianità? Nel Bel Paese nasce un bombo down ogni 1.200. Prima della guerra, la loro aspettativa di vita era di dieci anni; oggi è sui 60. Dal 1979 esiste l’Associazione Italiana Persone Down (Aipd) nata con il duplice scopo di supportare le famiglie e aiutare i ragazzi a diventare autonomi.

In Terris ha intervistato Anna Contardi coordinatrice nazionale Aipd.

Come commenta il dato islandese?
“Fuori dalle statistiche, si tratta di un fenomeno legato a due aspetti distinti. Il primo è culturale: la ricerca del bambino ‘sano e bello’; nel caso della sindrome di Down (Sd) con gli esami prenatali la diagnosi è praticamente certa e così molte persone scelgono l’aborto. Ma il tema ‘nascita’ va comunque collegato a un secondo aspetto, quello della ‘immagine’. Quale è l’opinione della gente che vive in quel determinato Paese delle persone Down? Che prospettive di vita e quali possibilità sociali hanno lì queste persone? Nella scelta finale, comunque individuale, incidono anche l’immagine e l’approccio inclusivo che esiste in quel Paese. Il secondo aspetto è etico: la diagnosi prenatale precoce molto spesso non serve a fare prevenzione ma è semplicemente l’anticamera dell’aborto”

Quali le differenze con l’Italia?
“La situazione in Italia è abbastanza variegata. Io non ho dati statistici, ma ho un dato esperienziale: lavoro con persone con Sd da 36 anni e negli ultimi anni ho trovato famiglie diverse che hanno deciso di portare avanti la gravidanza dopo una diagnosi che ha rivelato la presenza di un bimbo Down. Cosa c’è dietro queste scelte, certamente minoritarie? Se la maggior parte delle famiglie, anche in Italia, decide di interrompere la gravidanza per la paura di portare avanti una famiglia dove c’è un bimbo con delle disabilità, mote altre non lo fanno. La differenza sta nel fatto che è cambiata molto l’immagine e la percezione che i futuri genitori hanno delle persone con sindrome di Down. Quindi, se 20 anni fa venire a sapere di aspettare un bambino con Sd dava l’idea di una cosa ‘drammatica’, oggi c’è un’immagine più possibilista: si vede che le persone con Sd possono raggiungere un certo livello di autonomia e che esiste per loro un potenziale inserimento sociale e lavorativo. In definitiva, in Italia non tutte le persone decidono di fare l’amniocentesi, e non tutte le persone che hanno fatto l’amniocentesi decidono poi di interrompere la gravidanza in caso di sD per l’immagine maggiormente inclusiva che c’è nel nostro Paese”.

Come Aipd, quali progetti state attualmente portando avanti?
In questi ultimi due anni abbiamo proposto un nuovo progetto per l’inclusione lavorativa. In Italia, circa il 13% degli adulti con sindrome di Down lavora e si tratta di un fenomeno sicuramente in crescita: lavori semplici, ma veri come cameriere o pulizie in albergo.
Il nuovo progetto internazionale promuove proprio l’inserimento lavorativo nel settore alberghiero. E’ stata creata una etichetta, Valuable (quindi, ‘degno di valore’), per tutte le strutture alberghiere e della ristorazione che siano disposte ad accettare in tirocinio di lavoro e poi anche in assunzione persone con disabilità intellettiva. Il marchio è stato lanciato per ora in Spagna, Portogallo e in Italia; hanno già aderito una ottantina di strutture e lo stiamo proponendo in altri Paesi quali Ungheria, Germania e Turchia.
Il secondo progetto è un lavoro di promozione fatto direttamente alle persone con Sd in merito alla cura della propria salute e della propria forma fisica. A tal fine, abbiamo creato un’applicazione per smartphone molto semplice con la quale le persone si possono auto monitorare. La app si chiama ‘In forma’, è gratuita e usufruibile da tutti per controllare la propria dieta e la propria alimentazione. L’abbiamo già sperimentata con 72 persone con sindrome di Down, abbinata ad un percorso educativo, per far prendere loro consapevolezza dell’importanza di mangiar bene e di muoversi per avere una vita più sana”.

E, in sostanza, anche più felice. Almeno qui in Italia, dove ai bambini con Sd viene ancora permesso di nascere.