QUEL DIFFICILE RAPPORTO TRA CHIESA E PSICOANALISI

“Ho consultato una psicanalista ebrea. Per sei mesi sono andato a casa sua una volta alla settimana per chiarire alcune cose”. Più di qualcuno è rimasto stupito leggendo questa rivelazione di Papa Francesco, contenuta nel libro di prossima uscita in Francia Politique et société (ed. L’Observatoire), che raccoglie dodici dialoghi del Pontefice con il sociologo Dominique Wolton.

Bergoglio e la psicoanalisi

Jorge Mario Bergoglio spiega che il confronto con questa donna è avvenuto quando lui aveva quarantadue anni e che lo ha “aiutato molto”. Racconta, inoltre, che ha mantenuto un legame con la psicanalista anche successivamente: “Poi un giorno, quando stava per morire, mi chiamò. Non per ricevere i sacramenti, dato che era ebrea, ma per un dialogo spirituale”.

Lo stupore suscitato dalla confessione del Papa è comprensibile, dal momento che tra psicoanalisi e Chiesa cattolica i rapporti sono stati spesso tutt’altro che idilliaci. In realtà, l’ammiccamento da parte dell’attuale Vescovo di Roma nei confronti della disciplina avviata da Sigmund Freud era stato supposto da qualche osservatore già in diverse occasioni. Ad esempio tutte le volte in cui il Pontefice, nei suoi discorsi, non ha esitato a chiamare in causa celate ragioni psicologiche dietro la “rigidità” di certi preti o dietro l’attrazione di alcuni giovani per la Messa in rito antico. Oppure quando Vatican Insider ha pubblicato la foto dell’avviso affisso fuori l’appartamento di Santa Marta: “Vietato lamentarsi”. Il curioso cartello, infatti, è un regalo al Santo Padre di tale Salvo Noè, psicoterapeuta autore di diversi libri e di corsi motivazionali.

Chiesa e psicoanalisi: le divergenze

Questi episodi sembrano davvero segnare un solco profondo con quel passato di divergenze che si crearono fin dal principio tra Chiesa e psicoanalisi. L’ossessione materialista di Freud per l’istinto sessuale, considerato unico motore dell’agire umano, trovò la logica e ferma opposizione da parte di chi insegna che la storia individuale d’ogni uomo è sotto l’azione salvifica della Grazia divina. Da par sua, Freud fu nient’affatto docile: egli considerava Dio una mera proiezione psichica dell’immagine del padre umano, la religione una sorta di narcotico con cui l’uomo controlla la sua angoscia ma ottunde la mente e la Chiesa cattolica “nemica implacabile della libertà di pensiero”.

Il contesto post-bellico

Le teorie del neurologo austriaco trovarono largo consenso nel secondo dopoguerra del secolo scorso. La fine del conflitto mondiale, d’altronde, fece tramontare quella della sopravvivenza quotidiana come preoccupazione principale degli uomini, i quali, nella nuova era di pace che andava definendosi, iniziarono ad interrogarsi sui temi dell’esistenza umana cercando risposte anche in quegli ampi orizzonti secolari che si andavano dilatando.

In questo contesto di predominio culturale laico, in cui “l’uomo psicologico” pretese di sostituirsi “all’uomo religioso” cercando la felicità terrena piuttosto che la salvezza eterna, il lettino dello psicoanalista rischiava di soppiantare il confessionale.

Freud condannato dalla Chiesa

La Chiesa fu da subito consapevole delle nuove sfide della storia. Già negli anni trenta la soppressione della Società italiana di psicoanalisi fu frutto – sostengono in molti – di una convergenza tra fascismo e vertici ecclesiastici. Caduto il regime, come ricorda Andrea Tornielli su Vatican Insider, agli inizi degli anni Cinquanta il Vicariato di Roma ammonì i fedeli dal rivolgersi agli psicanalisti, definendo questa pratica “peccato mortale”. Una scelta, questa, che apparve pienamente condivisa da Papa Pio XII, che insistette sull’inconciliabilità tra psicoanalisi e cattolicesimo.

Le prime aperture

Eppure qualcuno, nella fattispecie il religioso e medico Agostino Gemelli, lesse come un inequivocabile segnale distensivo il discorso che Papa Pacelli fece il 13 settembre 1952 ai partecipanti al Primo congresso internazionale di istopatologia del sistema nervoso. Egli sottolineò in quell’occasione che “non è provato ed è perfino inesatto sostenere che il metodo pansessuale di una certa scuola di psicoanalisi sia parte indispensabile di ogni psicoterapia degna di tal nome”.

Il divieto alla psicoanalisi del Sant’Uffizio

La precisazione di Pio XII fu tuttavia una piccola fessura in un portone di dialogo ancora sprangato. Lo testimonia il fatto che nel 1961, sotto il pontificato di Giovanni XXIII, il Sant’Uffizio pubblicò il divieto rivolto ai membri del clero della possibilità di praticare la professione di psicoanalista e ai seminaristi di rivolgersi a questo tipo di esperti.

I casi Lemercier e Oraison

In quegli anni ebbe una certa eco la vicenda di Gregorie Lemercier, benedettino belga emigrato in Messico, il quale introdusse la psicoanalisi per risolvere alcune difficoltà spirituali nel convento di Santa Maria della Resurreccion. Nel 1965, su ordine del Sant’Uffizio, il religioso fu trasferito in Belgio e due anni più tardi il convento messicano fu chiuso. Lemercier abbandonò poi la tonaca.

Prima ancora suscitò un ginepraio di polemiche il sacerdote e psicanalista francese Marc Oraison, quando nel 1951 pubblicò la sua tesi universitaria Vita cristiana e problemi della sessualità. Il volume fu messo all’Index Librorum Prohibitorum, elenco di libri proibiti che fu abolito pochi anni più tardi, durante il Concilio Vaticano II (1962 – 1965).

La svolta di Paolo VI

E proprio i venti di cambiamento del Concilio soffiarono concretamente sul rapporto tra seguaci di Freud e seguaci di Cristo. Ne fu la dimostrazione l’enciclica di Paolo VI Sacerdotalis coelibatis, che in un passaggio ammette la possibilità del ricorso “all’assistenza e all’aiuto di un medico o di uno psicologo competenti”.

L’apertura di Papa Montini fu confermata dal discorso da lui pronunciato durante un’udienza generale del novembre 1973: “Abbiamo stima – rievoca Tornielli su Vatican Insider – di questa ormai celebre corrente di studi antropologici, sebbene noi non li troviamo sempre coerenti fra loro, né sempre convalidati da esperienze soddisfacenti e benefiche”.

Il lavoro di don Innocenti

Fu l’inizio di un percorso, che continua non senza distinguo e diffidenze. Lo studioso don Ennio Innocenti, prolifico scrittore oggi ottantacinquenne, nel suo Critica alla psicoanalisi (Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 2011) mette in guardia dalle “venature magiche” della psicoanalisi avanzate sotto forma di scienza medica. Di parere diverso lo psicanalista Leonardo Ancona, che nel 2006 ha pubblicato Il debito della Chiesa alla psicoanalisi (ed. Franco Angeli).

Fine delle ostilità?

In un’intervista ad Avvenire in quell’anno, Ancona spiegava l’avvicinamento tra Chiesa e psicoanalisi con “il riconoscimento reciproco” di una “tensione fondamentale”, poiché “sia psicoanalisi che pensiero giudaico cristiano tendono a riconoscere la verità tramite idee che vengono dal passato, non scientificamente provabili e in qualche modo inaccessibili alla mente”. Ed ancora: “Noi di fronte alla fede siamo nell’oscurità, e gli psicoanalisti più moderni ammettono che di fronte all’inconscio occorre ammettere che procediamo senza certezze”. Chissà se questa dotta riflessione sarebbe stata in grado di mettere d’accordo Freud e Sant’Uffizio. Le perplessità restano.