#Riscattalaurea? Pura demagogia

Non esistono pranzi gratis” è un proverbio americano dall’origine sconosciuta ma che è stato reso famoso dal romanzo di fantascienza “La Luna è una severa maestra” di Robert Heinlein e dal premio Nobel per l’economia Milton Friedman a cui è, spesso, attribuito l’aforisma. Questa frase descrive benissimo il perché la campagna sul riscatto “gratis” degli anni di corso universitario ai fini pensionistici, promossa dai Giovani Democratici, sia una boutade propagandistica e a titolo non certo gratuito.

Iniziamo ad analizzare cosa significhi riscattare la laurea.

Al termine degli studi è data la facoltà a chi avesse conseguito la laurea di versare una contribuzione aggiuntiva all’Inps per conteggiare gli anni di corso ai fini pensionistici, il calcolo di questi contributi, poi rateizzabili, viene effettuato sul reddito annuo percepito al momento della richiesta. In un regime contributivo, come quello attuale, quattro anni di contribuzione possono rappresentare una quota importante nella creazione di quello “zainetto pensionistico” su cui verrà calcolata la rendita previdenziale al momento della quiescenza nonché la possibilità di raggiungere i requisiti Ago con un certo anticipo rispetto all’ingresso effettivo nel mondo del lavoro.

Ciò detto, è evidente che la possibilità di ottenere dei contributi figurativi per conseguire questo riscatto a livello formalmente gratuito sia una cosa molto allettante per ogni studente o per chi rientrasse nel range d’età (dal 1980 in poi si ipotizza, la generazione conosciuta come Millennial in pratica) e non avesse mai nemmeno considerato questa ipotesi per la sua onerosità.

Si scrive onerosità perché quando io mi informai per effettuare il riscatto della mia laurea, appena iniziai a lavorare, mi chiesero oltre 42.000 euro da rateizzare in dieci anni e, ovviamente, non ho più nemmeno considerato questa opportunità perché per questioni anagrafiche avrei raggiunto il limite minimo di età per accedere alla pensione con circa 45 anni di contributi e quella cifra avrebbe avuto una resa migliore se impiegata in un Fip o investita in altra maniera ma questo è un altro discorso.

Quanto sopra fa capire che non sia possibile ipotizzare un riscatto gratuito ma solo traslarne i costi dal singolo alla collettività anche su coloro che all’università, per un motivo o per l’altro, non abbiano potuto o voluto andare e questo è già un elemento che i promotori della campagna non hanno considerato.

Il trasferimento di risorse verso gli universitari anche sulle spalle di chi l’università, magari, non se la sia potuta permettere o di chi abbia già riscattato a titolo oneroso quegli anni è una mossa ingiusta e regressiva.

Ingiusta perché rivolta solamente ai lavoratori con un’istruzione universitaria, prescindendo dalla durata del corso seguito, e perché rivolta solo a un target generazionale ben preciso tra questi, ignorando tutto il resto della platea dei potenziali interessati dalla possibilità, senza contare, ovviamente, chi già avesse iniziato o completato il riscatto a titolo oneroso.

Regressiva perché “il costo del riscatto è proporzionale all’ultima retribuzione percepita pertanto, ‘regalare’ questa opzione in modo indiscriminato vuol dire favorire in modo estremo i lavoratori con redditi più elevati e dunque attribuire al provvedimento un carattere marcatamente regressivo“, come nota Massimo Famularo, Bord Member per Frontis Npl, in suo recente articolo.

La proposta identificata con l’hashtag #RiscattaLaurea è, quindi, sicuramente d’impatto e con un elevato richiamo immaginifico perché entra prepotentemente nel dibattito sul futuro dei giovani che difficilmente riescono ad intraprendere un percorso di risparmio previdenziale efficiente nei primi anni di lavoro, fra stage e contratti atipici o temporanei, ma si pone, agli occhi di chi non si lasci abbagliare dalla propaganda, nella direzione sbagliata.

I veri problemi del sistema previdenziale italiano stanno nella sua stessa struttura che si potrebbe definire come uno schema Ponzi, identificabile nel sistema a ripartizione, che trasferisce sulle generazioni future l’onere del pagamento delle rendite di chi attualmente versa i contributi che, a loro volta, servono per pagare le prestazioni degli attuali pensionati senza alcun tipo di vero risparmio previdenziale.

La platea di lavoratori odierna, che subisce tutti gli “aggiustamenti” previsti dai vari interventi che, a torto, sono stati chiamati “riforme” negli anni passati, con l’innalzamento dell’età pensionabile e la riduzione delle prestazioni future, scontano, infatti, un sistema inefficiente che, nel passato, è stato fin troppo generoso basandosi su un modello adatto ad una popolazione in pieno boom demografico e ad attrarre un sicuro ritorno in termini politici.

La situazione odierna, invece, è esattamente opposta con la crescita economica asfittica, su cui incide sempre di più il peso dei costi e delle inefficienze dello Stato, cosa che non permette più alcuna concessione demagogica come il riscatto a titolo “gratuito” degli anni di laurea. Un’iniziativa, questa, che, tra l’altro, diminuirebbe sensibilmente le risorse, scarse, per interventi ben più importanti dal lato occupazionale come il taglio delle imposte sulle assunzioni dei giovani e la riduzione del cuneo fiscale, come dovrebbe essere previsto nella prossima Legge di Bilancio.

Si torna quindi al proverbio indicato in incipit, sperando che anche i promotori di questa trovata comprendano che qualcuno sarà sempre chiamato a pagare quello che, oggi, si vorrebbe elargire a titolo gratuito.