QUANDO A ROMA NEVICO’ D’ESTATE

Un sogno, un prodigio e tanta fede. Sono questi elementi a rendere particolare e suggestiva la storia della basilica papale di Santa Maria Maggiore, considerata il più antico santuario mariano d’Occidente. Le origini di questa chiesa – unica tra le basiliche capitoline a conservare le strutture di epoca romana, sia pure arricchite di aggiunte successive – si perdono nel mito, alimentando leggende e misteri. La più nota è quella raccontata da fra Bartolomeo da Trento, un letterato del XIII che nei suo “liber” raccoglie le testimonianze sui miracoli attribuiti alla Madonna. E’ lui a raccontare quello che fu un vero e proprio miracolo: una nevicata a Roma in piena estate.

Una visione mistica

Nella notte tra il 4 e il 5 agosto del 458 d.C., il sonno del patrizio romano Giovanni viene bruscamente interrotto da un lampo di luce. Gli appare la Madonna, tutta ammantata di luce. La visione si conclude con una richiesta da parte della Vergine: “Costruiscimi una chiesa nel punto in cui domani troverai la neve”. Secondo frate Bartolomeo, Giovanni e sua moglie da tempo desideravano impiegare i solo soldi per costruire un edificio in onore della Madre di Gesù. E adesso è lei stessa a chiederglielo. Il sogno è la promessa di un segno straordinario che Giovanni riferisce subito al suo vescovo, Papa Liberio. E con sua grande sorpresa, il nobile scopre che il Pontefice ha ricevuto la stessa visione mariana. Liberio e Giovanni scendono nelle strade della Capitale di quello che è un impero al collasso che non riesce più a respingere le invasioni dei barbari.

Neve sull’Esquilino

Con grande sorpresa scoprono che il fenomeno meteorologico profetizzato dalla Madonna si è verificato sull’Esquilino, il più alto ed esteso dei sette colli sui quali sorge Roma. La parte settentrionale del rilievo, denominato “Cispius“, è imbiancata da soffici fiocchi di neve. Anche se il frate medioevale non racconta le espressioni dei presenti, nel “liber” annota che Papa Liberio “sulla neve ancora intatta segnò il tracciato della nuova chiesa, che fu edificata a spese del patrizio e di sua moglie”. Nasce così un primo edificio che a distanza di settant’anni viene ricostruito da Papa Sisto III per celebrare il dogma della divina maternità di Maria, verità di fede appena approvata dal Concilio di Efeso (431 d.C.).

La basilica di Santa Maria Maggiore

Inizialmente, la basilica di Santa Maria Maggiore reca il titolo di “Santa Maria ad nives“, proprio in memoria del prodigio che diede origine al tempio. Successivamente viene denominata anche “Santa Maria ad praesepe“, nome dovuto alle reliquie di quelle che la tradizione indica come le tavole dell’antica mangiatoia che accolse Gesù bambino nella stalla di Betlemme. La basilica, nel corso del secoli, si è arricchita di elementi artistici e architettonici che la rendono unica: i mosaici della navata centrale e dell’arco trionfale, risalenti al V secolo d.C., e quelli dell’abside, la cui esecuzione fu affidata al frate francescano Jacopo Torriti per ordine di Papa Niccolò IV, il pavimento “cosmatesco” e il soffitto cassettonato in legno dorato, disegnato da Giuliano da Sangallo.

L’icona della “Salus Populi Romani”

salus populi romaniMa il tesoro più prezioso che custodisce la basilica è l’icona della “Salus Populi Romani”, immagine nota in passato con il titolo di “Regina Coeli“. Secondo la tradizione, essa risalirebbe all’epoca degli apostoli. A dipingerla sarebbe stato l’evangelista Luca, che l’avrebbe copiata da un’icona acheropita (ovvero non dipinta da mani d’uomo) che all’epoca si trovava nella città di Lidda, in Palestina. Nel secolo XVI, Roma è minacciata dalla peste. Papa Pio V decide di portare in processione l’icona fino a San Pietro. Ma prima di raggiungere il Vaticano ecco il miracolo: dall’alto scende un coro di angeli che intona il canto del Regina Coeli. Al termine dell’inno, il Papa e tutti i fedeli vedono apparire sulla Mole Adriana (l’odierno Castel Sant’Angelo) l’Arcangelo Michele nell’atto di riporre nel fodero la propria spada. Il Papa comprende che la peste avrebbe presto cessato di seminare la morte in città. E’ questo il motivo per cui oggi l’icona reca il nome di “Salute del popolo romano“.

Petali come fiocchi di neve

A secoli di distanza la Chiesa ricorda ancora quella nevicata in piena estate con un rito molto suggestivo. Ogni anno, il 5 agosto, nel mezzo di una solenne celebrazione eucaristica, presieduta dall’Arciprete della basilica, dal soffitto del tempio ecco scendere sui fedeli una fitta pioggia di petali di rosa bianchi, a ricordo di quei fiocchi di neve che nel 358 imbiancarono Roma. Una rievocazione che, in serata, viene replicata all’esterno. Dopo un breve momento musicale, durante il quale giochi di luci e colori illuminano la facciata della chiesa, dei cannoni sparano neve artificiale sul piazzale antistante la basilica, suscitando stupore e meraviglia agli occhi di romani e turisti. L’idea di riproporre una finta nevicata nel giorno della festa della “Madonna della Neve” arriva dall’architetto Cesare Esposito, che la realizzò per la prima volta nel 1983.