Pino Pelosi e la fine di Pasolini, le verità celate del “ragazzo di vita”

E’ morto, Pino “la rana”. E chissà che gran parte della verità non se ne sia andata assieme a lui. Se quella notte fra l’1 e il 2 novembre del 1975 fosse stato davvero lui a massacrare il poeta e regista Pier Paolo Pasolini o se, invece, si sia semplicemente addossato la colpa per coprire qualcun altro, Giuseppe Pelosi non lo rivelerà più. Così come non lo ha mai chiaramente rivelato nel corso degli ultimi 40 anni trascorsi da quella drammatica notte all’Idroscalo di Ostia quando, come disse lui stesso, rifiutò un tentativo di approccio sessuale da parte dello scrittore, finendo per aggredirlo e finirlo brutalmente con la sua stessa auto. Un’autoaccusa che, pur lasciando interdetta l’opinione pubblica dell’epoca (tanto che, in prima battuta, venne accusato di omicidio in concorso con ignoti), finì per costare a Pelosi l’unica condanna legata a un caso che, oggi come allora, di lati oscuri ne presenta ancora tanti.

Un ragazzo di vita

Se ne è andato dopo una lotta con li tumore, a 59 anni, il giovane di Setteville che, all’epoca del delitto, aveva solo 17 anni. La condanna (definitiva), arriverà il 26 aprile del 1976: 9 anni e 7 mesi di reclusione ma, anche allora, il volto di quell’esile giovane dagli occhi gonfi non convinceva fino in fondo. Eppure il colpevole, l’unico colpevole, resterà sempre lui. E questo, nonostante lui stesso quella versione l’abbia più volte cambiata. Lui, “il ragazzo di vita” del Tiburtino III, quella notte non era solo. Lo disse nel 2005, lo ribadì con modifica nel 2014, intervallando le due dichiarazioni con un provvisorio cambio di rotta: c’erano tre persone all’Idroscalo, anzi no, erano sei, con tre automobili e anche una motocicletta. C’era lui e qualcuno che, evidentemente, era stato più svelto a togliersi di torno. La certezza, a ogni modo, è che sulla spiaggia della periferia di Ostia Pino “la rana” e Pasolini non potevano essere soli.

La verità di Pino

Su una cosa, però, Pelosi è sempre stato certo: all’Idroscalo, quella notte, non c’era Johnny “lo Zingaro”. Lo ha ripetuto fino allo scorso 30 giugno, quando Mastini ha fatto perdere le sue tracce prima di tornare nel carcere di Fossano, dove era detenuto. Su chi fosse assieme a lui, però, Pino il riserbo lo ha mantenuto fino alla fine: “Annatece voi, in prigione, a fa l’infame coi borgatari”. Chissà se davvero “Pelosino”, il ragazzino di borgata che (come raccontò), sarebbe potuto divenire il volto di un film di Pasolini, come disse qualcuno, fosse stato davvero un’esca, che quella cena al ristorante di Ostia con Pasolini altro non fosse che il preludio all’esecuzione del poeta, dopo l’organizzato furto delle pizze della pellicola “Salò e le 120 giornate di Sodoma” assieme ai fratelli catanesi Borsellino (militanti dell’estrema destra), per il quale avrebbe dovuto essere chiesto un riscatto. Pino una volta ne parlò, riferì di due persone dall’accento siciliano presenti al pestaggio ma, successivamente, vacillò affermando di aver paura a fare nomi. Quel che appare, ora che anche lui se ne è andato, è che la ricerca della verità sia sempre più complessa. Perché Pino “la rana” fu parte di un meccanismo che, a distanza di anni, vedeva in lui l’unica chiave possibile per tentare di capirne il sistema di funzione. La sua versione, quella vera, se ne è davvero andata assieme a lui.