Mafia Capitale: 19 anni a Buzzi, 20 a Carminati. Cade l’accusa di associazione mafiosa

Venti anni di reclusione a Massimo Carminati, 19 per Salvatore Buzzi. Queste le condanne arrivate in primo grado per i due principali imputati nel processo di Mafia Capitale, lette dai giudici della X sezione penale di Roma nell’affollatissima aula bunker di Rebibbia. Le richieste dei pm erano state, rispettivamente, di 28 anni per l’ex Nar e di 26 anni e 3 mesi per il ras delle cooperative. Undici anni, invece, per l’ex consigliere regionale Luca Gramazio, così come per Riccardo Brugia, mentre Luca Odevaine e Franco Panzironi sono stati condannati, rispettivamente, a 6 e 10 anni. Sarebbe dunque caduto il 416bis, l’accusa di associazione di stampo mafioso. Sei anni anche per l’ex presidente del Consiglio comunale di Roma, Mirko Coratti. E’ caduta, stando a quanto riportato nella sentenza, l’accusa di associazione mafiosa ma è stata riconosciuta quella di associazione a delinquere. Presente in aula anche la sindaca di Roma, Virginia Raggi: “Sappiamo che questa è una ferita profonda per la città – ha spiegato ai cronisti presenti – che cercheremo di ricucire attraverso un percorso di legalità”. Secondo quanto spiegato a Sky dall’avvocato di Carminati, Ippolita Naso, “la sentenza ha dimostrato che Mafia Capitale non esiste”.

L’inchiesta

E’ la giornata della verità sull’inchiesta del Mondo di mezzo. Un’udienza, quella odierna, che concluderà un percorso processuale lungo due anni e mezzo, fatto di ben 230 udienze nell’aula bunker del carcere di Rebibbia e che ha scoperchiato, man mano, il lato oscuro di un sistema corruttivo che affliggeva le istituzioni capitoline. La decisione dei giudici era attesa proprio per capire se, davvero, l’associazione mafiosa contestata a 19 dei 46 imputati nel processo per Mafia capitale fosse esistita e avesse agito come tale all’interno delle sfere del potere romano. O, altrimenti, se quello guidato da due figure come l’ex Nar Massimo Carminati e l’ex imprenditore, ras delle cooperative, Salvatore Buzzi, fosse un sistema di corruzione e infiltrazione legato alla gestione degli appalti.

Mafia Capitale

Cinquecentoquindici anni totali di carcere quelli richiesti dall’accusa nei confronti degli imputati, rispettivamente 28 per Carminati (il “vecchio fascista degli anni 70”) e 26 più 3 mesi per Buzzi (protagonista di dichiarazioni-fiume rilasciate nel corso di 8 udienze in videoconferenza), ai quali sono state riservate le richieste detentive più pesanti (i due sono già detenuti in regime di 41bis presso i carceri di Parma e Tolmezzo). Ma, svolgendo il filo legato alle due figure cardine dell’inchiesta, l’indagine della Procura di Pignatone ha permesso di svelare a poco poco l’interno giro di corruzione che ruotava dietro (e sotto) di loro, fra coinvolgimenti istituzionali e sodalizi intercorsi con funzionari amministrativi che, di fatto, secondo l’accusa erano a libro paga di Buzzi e Carminati. Dai colletti bianchi come l’ex ad di Ama Franco Panzironi (per il quale sono stati richiesti 21 anni di carcere) e l’ex consigliere Luca Gramazio (19 anni e 6 mesi), fino agli amministratori come Luca Odevaine (2 anni e 6 mesi) e personaggi come Riccardo Brugia (25 anni e 10 mesi per colui che è considerato il braccio destro del “Cecato”). E, via via, a scendere fino a coloro legati alla coop “29 giugno”.

La decisione sul 416bis

Al di là della decisione dei giudici, resta il fatto che l’inchiesta sul Mondo di mezzo ha messo a nudo quello che risulta essere un sistema illecito legato a interessi del tutto estranei all’area pubblica che, indifferentemente, hanno coinvolto politici e funzionari pubblici, smascherato attraverso infinite serie di intercettazioni (al vaglio dei giudici se tale sistema fosse perpetrato dai soldi di Buzzi o dalle intimidazioni di Carminati). La caratterizzazione mafiosa dell’associazione gestita dai due è stata la pietra angolare sul quale si è fondata l’accusa dei pm e, allo stesso modo, quella più contestata dalla difesa degli imputati. Il lavoro dei magistrati è stato incentrato proprio sull’eventuale riconoscimento del sodalizio oscuro della politica romana come 416bis e, dunque, come associazione di stampo mafioso.