Una tragedia che non può più essere ignorata

Nel dibattito sull’immigrazione extracomunitaria, è sempre più frequente l’uso di termini enfatici e vagamente allusivi. Alcuni parlano di “invasione” altri di “opportunità storica”, ma tutti sono d’accordo sul fatto che stiamo assistendo ad una “svolta epocale”, come a dire che si tratta di un evento ingovernabile dall’uomo, al pari di un cambiamento climatico.

In realtà, si tratta, né più né meno, dell’intensificarsi di ciclici movimenti di popolazioni che, per essere state bloccate per alcuni decenni nel secolo scorso, sia da regimi autoritari e tirannici, sia da oggettive difficoltà di movimento, conoscono adesso una sorta di rimbalzo numerico. Il massiccio movimento, cui stiamo assistendo in questi ultimi anni dall’Africa e dall’Asia verso l’Europa e anche verso le Americhe, specie quella del Nord, con preferenza per il Canada, vede l’Italia direttamente coinvolta con un ruolo centrale (ruolo non cercato né gradito, ma determinato dalla sua posizione geografica) sia come Paese di elezione che di transito verso altri Paesi dell’Unione Europea.

Siamo ormai per così dire “assuefatti” alle immagini tragiche, che i media ci trasmettono pressochè quotidianamente, di barconi stracarichi di migranti, sostenuti sulle onde dalla forza delle preghiere a molti dei e in molte lingue, che, quando riescono ad approdare sulle nostre spiagge, hanno i volti dei disperati affamati, stremati dal freddo e con un carico di paure per un futuro pieno di incognite.

Al di là della solidarietà umana, o della necessità di prestare immediata assistenza a questa moltitudine di disperati, si pone il problema, sia giuridico che sociale, della loro condizione all’interno delle Nazioni che ambiscono a raggiungere.

Dal punto di vista giuridico, gli immigrati vengono identificati in modo completo, muniti di documenti provvisori e, generalmente colti da un provvedimento di espulsione. Talvolta riescono a sfuggire all’identificazione e anche all’espulsione dandosi alla clandestinità. Ma il migrante clandestino che entra e resta nel nostro Paese, in realtà non è mai solo, ma “assistito” per lungo tempo, e a carissimo prezzo, da organizzazioni criminali,spesso internazionali, e viene utilizzato in diversi modi. Grava su di lui, infatti, il peso del debito contratto per il viaggio suo o dei suoi familiari, e quello di ulteriori esborsi chiesti per l’assistenza. Viene quindi avviato a lavori pesanti, usuranti e non protetti, tali da non poter essere accettati se non da chi ne è costretto per necessità e bisogno.

Alcune analisi alquanto riduttive del fenomeno, giustificano questa sorta di arruolamento di stranieri per lavori ormai desueti, con la necessità di sostituire lavoratori italiani o comunitari, alieni da quelle prestazioni  lavorative. Quali sono infatti i lavori cui vengono generalmente adibiti gli immigrati? Lavori di raccolta nei campi di frutta e verdura con permanenza sotto il sole a temeperature spesso elevatissime, con un compenso spesso inferiore ad ogni equità. Vengono impiegati come pescatori, come lavoratori nell’industria conserviera, con orari di lavoro gravemente dannosi per la loro salute. E ancora non va dimenticato quanto debba agli extracomunitari l’industria dell’edilizia,che da qualche tempo conosce un’impennata drammatica del numero degli incidenti sul lavoro spesso assai gravi o mortali.

Non si stenta a credere che una certa parte della piccola e media industria, non solo plauda al lavoro degli extracomunitari, ma certamente non si schiera con quelli che vorrebbero arrestare il flusso ininterrotto di disperati che approdano come cetacei sui nostri confini. Molti sono gli imprenditori, che non esitano ad utilizzare una forza lavoro giovane, priva di ogni informazione sui loro diritti, pronta a soddisfare ogni pretesa, estranea a contestazioni sull’orario e la pesantezza del lavoro, terrorizzata al solo pensiero di perderlo, disposta a tutto per ottenere un salario, che può essere definito solo di “fame”. E’ evidente il vantaggio economico dell’imprenditore che risparmia denaro sfruttando la manodopera a costo “zero” o quasi.

Per non parlare poi delle condizioni delle donne e dei bambini che vengono stivati nei barconi, come indispensabile completamento di ogni carico. L’esperienza giudiziaria ci insegna che sono proprio le donne e i bambini ad essere sfruttati dalle organizzazioni criminali come fonte di facili e immediati guadagni. Le donne finiscono immediatamente sui marciapiedi e i loro figli spesso in tenerissima età sono mezzo di pressione per ottenere obbedienza e soggezione. I bambini poi crescendo sono addestrati al furto, all’accattonaggio e addirittura al turpe mercato della prostituzione.

Siamo di fronte a una tragedia che non può più essere ignorata, una tragedia che sta generando un inarrestabile mutamento dell’ordine sociale, che richiede l’impegno concreto di tutti gli Stati dell’Europa affinché si trovi rapidamente una soluzione condivisa scevra da egoismi e pregiudizi.

Bernadette Nicotra – magistrato del Tribunale penale di Roma