Charlie è vita vera, non ideologia

La vicenda del piccolo Charlie Gard continua a catalizzare le attenzioni della stampa internazionale. Intenso, per certi versi estenuante il dibattito sul tema, che coinvolge concretamente le istituzioni britanniche, vaticane e italiane.

La sua malattia ci pone interrogativi sulla vita e sulla morte che, inevitabilmente, per via dei progressi medici, in futuro saranno sempre più incalzanti.

Parlo da padre, non da rappresentante di una fazione. Dinanzi allo strazio di una malattia giudicata “inguaribile” dai medici, la bussola che personalmente seguo è la Dottrina sociale della Chiesa. E lo faccio, prima ancora che da credente, da laico raziocinante.

Credo con fermezza che ogni vita umana sia degna di essere vissuta. Degna di essere vissuta per il solo fatto di essere stata concepita. Perché quando qualcuno, nella storia, ha deciso cosa fosse degno e cosa no, è finita sempre male. È finita sempre con milioni di morti, a cominciare dai più fragili e deboli: i bambini.

Ecco allora che sono proprio i più fragili e i più deboli che hanno bisogno delle nostre attenzioni, del nostro alzarci in piedi per affermare la dignità della loro vita. A questa categoria appartiene il piccolo Charlie Gard.

Lui non è una petizione. Non è una fazione. Charlie è una persona umana. Ed è un bambino che, nonostante sia fragile ed indifeso, è riuscito a suscitare un dibattito così ampio e importante, su questioni delicate.

Mi torna in mente la vicenda di Piergiorgio Welby, uomo gravemente malato, a cui nel 2006 fu staccato il respiratore che lo teneva in vita, come lui stesso aveva richiesto.

Anche in quella occasione si registrò un’enfasi mediatica. Le immagini di questo uomo malato, costretto su un letto e impossibilitato a muoversi e parlare, pose interrogativi, riflessioni, dubbi. La sua vita, in quel momento, si rivelò importante non fosse altro che per questo. Quando Welby morì, in quella fredda serata di dicembre, con lui morì anche il dibattito che aveva vivacizzato l’opinione pubblica.

Ecco. Oggi sta accadendo lo stesso. La malattia del piccolo Charlie è riuscita a stimolare un incessante dibattito sui grandi temi della vita e della morte.

E come nel caso di Welby, anche stavolta si rischia di commettere un errore, quello di circoscrivere la questione a una battaglia di campanile. Le fazioni, la partigianeria sono pericolose, perché allontanano dalla riflessione. Charlie è vita vera, non ideologia. E ci insegna che in queste occasioni non bisogna zittire l’avversario, ma invitare al confronto. Perché i grandi temi interessano tutti. Nessuno escluso.

Gigi De Palo
Presidente del Forum delle associazioni familiari