DAGLI SCARTI DELLA MODA IL RISCATTO DEGLI ULTIMI

A inizio estate in tanti apriamo gli armadi per buttare via ciò che è usato, vecchio o non piace più perché passato di moda. E se invece questi vestiti venissero riciclati e diventassero utili sia come stracci sia come abiti, potrebbero avere una nuova chance ed essere di nuovo preziosi per qualcuno. Nella filiera del tessile può accadere proprio questo e svilupparsi un progetto di sostenibilità ambientale.

L’esperienza della “Cooperativa La fraternità” di Bologna è stata presentata alla “Biennale della prossimità“, la Rassegna nazionale delle esperienze di prossimità intitolata “Voglio dire, voglio fare, voglio esserci”, che si svolge ogni due anni in una città diversa e dopo Genova 2015 si è tenuta a Bologna dal 15 al 18 giugno 2017.

Oltre alla suggestiva presentazione, presso l’Arena Orfeonica del Video Mapping “C’ha project” di Debora Ester Lago e Andrea Colacicco che racconta, attraverso segni, giochi di luce e colore, l’idea di casa dei ragazzi disabili della Cooperativa Sociale La Fraternità, è stato proiettato anche il cortometraggio “Su misura”, realizzato dal regista bolognese Mirko Giorgi. Tante persone uscite dalla dipendenza oppure giovani con disabilità o ancora vittime di tratta accolte dalla Comunità Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, si sono messi in gioco in un’avventura di moda che ha coinvolto nei mesi scorsi anche gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna nell’ascolto e nella conoscenza dei desideri e delle differenti storie di vita dei protagonisti del progetto di riciclo di abiti usati.

Qual è stato l’obiettivo di questo cortometraggio?
“Il primo obiettivo è stato quello di fare incontrare due realtà così diverse, l’ambiente dell’Accademia con splendide studentesse proiettate nel mondo della moda e gli utenti della Cooperativa La Fraternità con diverse fragilità, alcuni anche con gravi patologie uniti da un progetto di fare un abito su misura. È stato fondamentale conoscere il carattere, la personalità e i desideri di ognuno perché gli studenti potessero progettare questo abito ad hoc. Quindi tutto un lavoro di incontri, ascolto, ricerca dei tessuti, degli abiti e lavorazione. Tra le varie storie abbiamo pensato di sviluppare la storia di una giovane marocchina Rajha che si è emancipata dal mondo musulmano e oggi è responsabile dell’assemblaggio in Cooperativa. Una tipa pazzerella, con un carattere che si impone ma in fondo dolcissima. E un ragazzo di 23 anni proveniente dal Bangladesh che nel Paese di origine era stato ingannato perché gli avevano garantito appartamento e lavoro e una volta arrivato in Italia si è trovato in strada. Anche lui lavora in Cooperativa, nei servizi cimiteriali, anche la sua è una storia di riscatto”.

Un episodio che ti ha commosso in questo lavoro?
“Sicuramente il momento della vestizione di Aziz da parte di una donna di origine russa molto più alta di lui. Una sorta di rituale in cui in contemporanea le immagini riprendono lui in auto che racconta delle bombe, del terrorismo, della religione. Mentre viene vestito da guerriero parla dei giovani delusi e demoralizzati che stanno arrivando in Europa e poi scoprono di esser stati truffati. Parla dell’obiettivo che hanno i migranti di una vita più dignitosa, parole in cui mostra di distanziarsi dal mondo di violenza con cui i media ci presentano il mondo musulmano. Entrambi questi giovani sono arrivati in Italia da giovanissimi. Apparentemente così lontani da noi ma in realtà vicini alla nostra cultura, ormai completamente integrati. Pensa che Aziz ama Leopardi e adora la poesia A Silvia”.

Cosa ha significato lavorare con persone che il recupero lo hanno vissuto sulla propria pelle, con la durezza della propria storia? Ci sono stati momenti in cui qualcuno si scoraggiava o non si sentiva di esporsi con il proprio corpo davanti all’obiettivo?
“Come dice la professoressa all’inizio del cortometraggio il primo passo è stato superare il pudore. Cercare di costruire una naturalezza a fronte di resistenze e tanta vergogna. È stato importante in ogni momento ricordare loro il valore della partecipazione, della ricchezza di cui ognuno è portatore. Per me è stato un lavoro molto interiore perché non è facile vincere queste difficoltà e superare le barriere culturali, le barriere caratteriali ma si sono pian piano sciolte nell’aiuto reciproco”.

Soddisfatti di avere avuto spazio alla Biennale?
“Sì siamo molto contenti e abbiamo visto tanta gente scambiare esperienze e raccontare le proprie idee. Abbiamo proprio visto che condividere i propri progetti e le proprie esperienze venendo da diverse parti d’Italia ognuno poteva trovare stimoli nell’ascoltare le attività dell’altro”.

Proprio a una settimana di distanza dal weekend in cui si sono riuniti a Bologna i potenti della terra per parlare di clima, crescita sostenibile, pace, Africa, desta stupore l’evento che ha dato voce a chi iniziative di vicinanza, sostegno ed empowerment, volontariato e sussidiarietà, per cambiare il mondo a partire da chi ti è vicino, le portano avanti in tutta Italia ogni giorno spesso con grande fatica nel individuare i fondi per costruire un nuovo Welfare.

Cooperative, associazioni, gruppi di cittadini per tre giorni nel capoluogo emiliano hanno promosso spazi di riflessione su temi di attualità come la cooperazione sociale di inserimento lavorativo, i patti di collaborazione nelle amministrazioni comunali, le migrazioni e le dipendenze hanno promosso attività artistiche negli spazi aperti perché fossero alla portata dei passanti. L’idea di base della Biennale, promossa dalla “Rete Nazionale per la Prossimità” e sostenuta dalla “Fondazione dal Monte” di Bologna e Ravenna, è infatti che i cittadini possono essere risorsa l’uno per l’altro e costruire insieme risposte per tutti. E per questo raccontarsi con lo scambio di esperienze nei workshop, nei laboratori in strada, nelle piazze e sotto i portici, e nella cena in strada di sabato sera certamente avrà ridato dignità e speranza anche a chi ha vissuto ai margini nelle nostre città e oggi sogna invece una nuova società appunto più inclusiva… più “prossima”.