Caso Riina, facciamo chiarezza

La recente sentenza della Corte di Cassazione riguardante Totò Riina, che ha suscitato tante polemiche, afferma “l’esistenza di un diritto a morire dignitosamente che deve essere assicurato al detenuto”, evitando che “lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza e un’afflizione di tali intensità da eccedere il livello” normale di una pena.

La sentenza va rispettata, perché ribadisce dei principi costituzionali. In base alla Costituzione, lo Stato deve riservare ad una persona malata un adeguato trattamento di cura e non può applicare né la legge del taglione, né la legge del contrappasso, né entrare in una faida perché la violenza genera violenza. Lo Stato nei confronti della barbarie mafiosa non può e non deve amministrare la giustizia con spirito di vendetta: deve rispettare la dignità di ogni persona e quindi anche il diritto a morire dignitosamente.

Questa sentenza della Corte deve essere ben letta, perché la Cassazione non dice che Riina deve essere scarcerato, ma che la sentenza del giudice di sorveglianza deve essere meglio motivata per far sì che il boss corleonese, al quale si riconosce ancora un ruolo criminale di primo piano, possa rimanere in carcere. Le strutture carcerarie odierne contengono al loro interno delle sezioni ospedaliere attrezzate dove è possibile che la persona sia curata, perché quello alla salute e alla cura è un diritto fondamentale della persona. Quindi un detenuto può concludere dignitosamente i suoi giorni senza la necessità di essere liberato.

Molti cittadini di Corleone, città appartenente alla mia arcidiocesi di Monreale, ritengono altamente sconveniente che Riina possa ottenere gli arresti domiciliari nel suo paese natale. È già abbastanza strano che a Corleone vengano turisti dall’Italia e dall’estero a visitare non le case dei due santi canonizzati, San Leoluca e San Bernardo da Corleone, ma la casa di Totò Riina. In questo caso ci potrebbe essere il rischio che la sua casa diventi una specie di santuario negativo. Bisogna evitare questa soluzione anche perché Riina è ancora considerato il capo di Cosa Nostra, è un simbolo ed è comunque ancora un personaggio influente della mafia.

Fino ad alcuni mesi fa ha continuato a rivolgere minacce e poi, soprattutto, non ha mai manifestato la volontà di dissociazione. Gli uomini appartenenti alla mafia sono stati più volte invitati alla conversione da parte dei pastori della Chiesa. La conversione nel caso del mafioso, certamente non potrà ridare la vita a coloro che sono stati uccisi, ma comporta comunque un impegno fattivo affinché sia debellata la struttura organizzativa della malavita.

Perché ci sia un’effettiva conversione è necessario che il mafioso si distacchi dall’organizzazione criminale, chieda perdono alle vittime e, per quanto è possibile, abbia la volontà di riparare, altrimenti una presunta conversione sarebbe soltanto una messiscena L’invito che io rivolgo, non solo a Totò Riina ma a tutti gli uomini della mafia, è quello a convertirsi, perché come ha detto San Giovanni Paolo II ad Agrigento, “un giorno arriverà il giudizio di Dio” e come ha aggiunto Papa Francesco il 21 marzo 2014, “convertitevi per non finire all’inferno. È quello che vi aspetta, se continuate su questa strada”.

Mons. Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale