La polpetta avvelenata

Mano mano che si avvicina la scadenza naturale delle elezioni per il rinnovo della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, le formazioni politiche populiste, per raggiungere livelli più alti di consenso soprattutto tra i giovani, hanno confezionato una esca per ottenere voti; una vera e propria polpetta avvelenata.

Propongono il “reddito di cittadinanza“, che non è altro che un sussidio a favore di tutti coloro che risultano disoccupati. Il tema risulta avvincente per chi per vari motivi non lavora o è colpito dalla falcidia delle tecnologie digitali e dalla globalizzazione. Si pensa così di rispondere a temi di grande importanza per il futuro delle nostre comunità, con l’idea che comunque vadano le cose, le singole persone potranno ottenere il diritto ad un reddito per il loro sostentamento.

Per svariati motivi, tutti molto importanti, che lo Stato provveda a pagare a ciascuno un sussidio, è un errore letale per singoli ed interessi generali. Infatti lo Stato con il debito che l’opprime, non sarebbe in grado di erogare una somma che si aggirerebbe almeno sui 20 miliardi di euro annui, peraltro per una platea di soggetti quasi tutti residenti nel Mezzogiorno, che sprofonderebbe definitivamente nell’assistenzialismo ed a quel punto incapace di produrre nuovi modelli culturali ed economici indispensabili per il sud è tutta la Nazione.

Abbiamo bisogno di choc di tutt’altro tipo, per far fronte ai nuovi modelli produttivi ed alla nuova condizione della ripartizione internazionale del lavoro che ci vede impari rispetto ai nostri concorrenti. Più che proporre miracolistiche soluzioni risarcitorie per i disoccupati, occorrono a dosi da cavallo iniezioni di investimento per istruzione e formazione per accrescere la qualità delle professionalità dei lavoratori, per velocizzare il passaggio dai vecchi lavori a quelli nuovi e specializzare così le nostre produzioni e servizi.

Le teorie a sostegno del reddito di cittadinanza, riguarderebbe la ineluttabilità della riduzione dei posti di lavoro è che comunque il futuro vedrebbe moltitudini di persone affrancarsi dalla schiavitù del lavoro raggiungendo la felicità del maggior tempo libero.

La felicità tuttavia non viene dall’ozio ma dal desiderio ancestrale di sviluppare il proprio ingegno attraverso il lavoro; questo è l’unico vero modo di misurarsi e crescere. La persona ha il bisogno profondo di misurarsi con se stesso che è quello di realizzare la propria opera avendo il dominio sulla progettazione e sulla esecuzione del prodotto.

Questa casomai è la sfida: quella di superare definitivamente l’alienazione del lavoro ripetitivo fordista che oramai è agli sgoccioli della sua esperienza storica, e arrivare all’inclusione dei lavoratori nelle decisioni riguardanti la partecipazione alle scelte d’impresa.

Il nostro Paese supererà lo stallo pericoloso in cui si trova non con l’oppio dell’assistenzialismo e del nichilismo, ma recuperando i valori più profondi su cui ha poggiato in altre epoche il progresso del nostro popolo.