Ragazzi respinti perché autistici: un'occasione persa che apre le coscienze

No, decisamente il 2019 non si chiuderà nel migliore dei modi per sedici famiglie italiane che, per celebrare l'ingresso nella nuova decade, avevano deciso di trascorrere il veglione di San Silvestro in un noto hotel del Frusinate. Un tratto distintivo le accomunava tutte, nel problema, nel supporto reciproco e, purtroppo, anche nell'inconveniente di fine anno, visto che la presenza fra di loro di altrettanti ragazzi affetti da spettro autistico, ha spinto gli albergatori a negare il soggiorno presso la struttura, al fine di tutelare la tranquillità degli altri ospiti. La motivazione è stata semplice quanto spiazzante: l'hotel non è in grado di affrontare una situazione simile, nonostante la presenza costante dei familiari dei ragazzi, né le eventuali conseguenze portate dalla confusione del cenone del 31 dicembre, botti e fuochi d'artificio inclusi. La soluzione i gestori l'avrebbero anche offerta, invitando il gruppo a soggiornare in modo esclusivo nella struttura il giorno 2 gennaio, così da poter godere in piena autonomia degli spazi e dei servizi. Ma qui sta il punto o, se vogliamo, lo scivolone imprevisto: scopo della comitiva era proseguire in modo coerente un preciso percorso terapeutico, volto a favorire l'integrazione e, fin dove possibile, il miglioramento delle capacità relazionali dei ragazzi. Va da sé che, come obiettato dalle famiglie, una condizione di esclusività avrebbe praticamente significato una controproducente situazione di isolamento.

Casi in aumento

Il caso ha destato scalpore, sollevando l'opinione pubblica sul tema autismo ma, perlopiù, declinando il dibattito sull'analisi di un caso singolo che, per quanto grave, rappresenta solo un episodio nel novero delle tante situazioni in cui, ogni giorno, le famiglie che lottano contro lo spettro autistico di qualcuno dei propri cari (spesso bambini) si trovano a doversi destreggiare fra difficoltà estreme. Il punto è che l'autismo, per quanto l'evoluzione della società civile imponga importanti prese di coscienza, resta una condizione umana guardata con diffidenza, con una prudenza che, in molti casi, quasi senza una vera e propria cognizione di quanto avviene si tramuta in paura. Il tutto in un momento storico in cui i casi hanno subito una sensibile crescita nel nostro Paese. Un dato oggettivo per il quale non servirebbe solo una forte coscienza civica ma anche un'azione mirata a livello sanitario: “In realtà si tratta di un tema complesso – ha spiegato a In Terris Roberto Torta, presidente dell'associazione Genitori e Autismo, attiva a Roma dal 2006 -. L'autismo è un problema enorme: negli ultimi vent'anni siamo passati da un caso ogni 5 mila a un caso ogni cinquanta. Ci sono tantissimi bambini che ricevono questa diagnosi”.

Un problema reale

L'approccio ai casi di autismo non è stato sempre uniforme. Anche per questo, solo negli ultimi tempi, si è riusciti a compiere qualche passo in avanti da un punto di vista terapeutico: “Fino a qualche anno fa – ha spiegato il presidente Torta -, esisteva soltanto una terapia di tipo psicologico, praticamente inutile dal momento che l'autismo è un problema organico, neurologico. Più o meno a partire dal Duemila, è stata progressivamente sviluppata una terapia di tipo cognitivo-comportamentale, l'unica che ha effettivamente cominciato a portare alcuni risultati su bambini autistici. Quello che serve è quindi l'intervento di un pool di specialisti dal punto di vista orgranico, mentre sul piano relazionale occorre instaurare una tecnica di approccio proficua“. Una tecnica che ha un nome, un acronimo per l'esattezza: “E' una sigla americana: Aba, analisi del comportamento applicata. Ed è l'unica a dare dei risultati. Ci sono centri di presa in carico di bambini autistici che la adottano, mentre altri sono legati ad aspetti più obsoleti”. Al di là dei tecnicismi, lo sgradevole incidente del Frusinate pone l'accento su una situazione che tende a verificarsi con una certa frequenza: “Il problema che si è verificato nell'albergo è un problema che esiste: difficilmente le famiglie che hanno in carico persone con questo problema vengono accettate facilmente. Il timore di queste strutture è che il comportamento del bambino, che è un comportamento anomalo, possa creare problemi agli altri clienti. E' una cosa assurda, perché sono bambini indifesi, senza nessuna capacità di far del male. Certo, possono essere un po' iperattivi ma senza creare problemi insormontabili o ingestibili. Ci sono situazioni in cui fortunatamente si riesce a ragionare, ma nella grande maggioranza dei casi ci si trova di fronte alla paura di perdere clienti”.

Investimenti necessari

Molto, a quanto pare, può fare (o potrebbe fare, pensando ai vari contesti sociali che non siano solo quello della famiglia) un approccio all'autismo basato sull'analisi del comportamento applicata. Il quale, però, necessita di alcune condizioni: “Affinché si abbiano dei risultati occorre iniziare in una fascia d'età piuttosto bassa poiché con un bambino che abbia già 5-6 anni, l'intervento sarebbe molto più complicato. Su bambini molto piccoli invece i risultati sono ottimi. La scienza ha dato dimostrazione di questa capacità di miglioramento e, in pochi casi, addirittura di uscita dallo spettro autistico. Qualcosa di molto complicato ma che si è verificato. Il problema è la vastità della casistica: con 500 mila casi di autismo, oggi, i centri specializzati sono pochi, praticamente una goccia nel mare. Il che significa che la maggioranza di loro rimane senza cure”. Una variabile da non sottovalutare poiché, all'aumento dei casi, dovrebbe corrispondere un conseguente piano a supporto delle strutture in grado di assistere gli affetti dal disturbo e le loro famiglie: “Le strutture che adottano questo tipo di trattamento sono quasi tutte private e chi riesce ad accedere a queste cure deve sborsare somme consistenti. Investire in questo tipo di strutture comporterebbe anche una formazione degli operatori che non esiste al momento: soltanto pochissimi sanno utilizzare queste tecniche. Ed è un peccato”.