Udienza del mercoledì, il Pontefice “inorridito” per “l’inaccettabile strage” in Siria

Al termine dell’udienza generale del mercoledì, svolta in Piazza san Pietro, Papa Francesco si è detto “inorridito” per quanto avvenuto ieri a Khan Sheikhun, in Siria, definendo una “inaccettabile strage” la morte di “decine di persone inermi, tra cui tanti bambini” a causa di un attacco chimico. Il bilancio al momento parla di oltre 70 vittime.

“Prego per le vittime e i loro familiari e faccio appello alla coscienza di quanti hanno responsabilità politiche, a livello locale e internazionale, affinché cessi questa tragedia e si rechi sollievo a quella cara popolazione da troppo tempo stremata dalla guerra. Incoraggio, altresì, gli sforzi di chi, pur nell’insicurezza e nel disagio, si sforza di far giungere aiuto agli abitanti di quella regione”.

Di seguito, il testo integrale della catechesi del Pontefice.

“Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La Prima Lettera dell’apostolo Pietro porta in sé una carica straordinaria! Riesce a infondere grande consolazione e pace, facendo percepire come il Signore è sempre accanto a noi e non ci abbandona mai, soprattutto nei frangenti più delicati e difficili della nostra vita. Ma qual è il “segreto” di questa Lettera, e in modo particolare del passo che abbiamo appena ascoltato?

Il segreto sta nel fatto che questo scritto affonda le sue radici direttamente nella Pasqua, nel cuore del mistero che stiamo per celebrare, facendoci così percepire tutta la luce e la gioia che scaturiscono dalla morte e risurrezione di Cristo. Cristo è veramente risorto, è vivo e abita in ciascuno di noi. È per questo che san Pietro ci invita con forza ad adorarlo nei nostri cuori. Lì il Signore ha preso dimora nel momento del nostro Battesimo, e da lì continua a rinnovare noi e la nostra vita, ricolmandoci del suo amore e della pienezza del suo Spirito. Ecco allora perché l’Apostolo ci raccomanda di rendere ragione della speranza che è in noi: la nostra speranza non è un concetto, non è un sentimento, ma è una Persona, è il Signore Gesù che riconosciamo vivo e presente in noi e nei nostri fratelli.

Comprendiamo allora che di questa speranza non si deve tanto rendere ragione a livello teorico, a parole, ma soprattutto con la testimonianza della vita, e questo sia all’interno della comunità cristiana, sia al di fuori di essa. Se Cristo è vivo e abita in noi, nel nostro cuore, allora dobbiamo anche lasciare che si renda visibile e che agisca in noi. Questo significa che il Signore Gesù deve diventare sempre di più il nostro modello di vita e che noi dobbiamo imparare a comportarci come Lui si è comportato. La speranza che abita in noi, quindi, non può rimanere nascosta dentro di noi, nel nostro cuore, ma, come traspare dal Salmo 33 citato da Pietro, deve necessariamente sprigionarsi al di fuori, prendendo la forma squisita e inconfondibile della dolcezza, del rispetto e della benevolenza verso il prossimo, arrivando addirittura a perdonare chi ci fa del male. Sì, perché così ha fatto Gesù, e così continua a fare attraverso coloro che gli fanno spazio nel loro cuore e nella loro vita, nella consapevolezza che il male non lo si vince con il male, ma con l’umiltà, la misericordia e la mitezza.

Ecco perché san Pietro afferma che ‘è meglio soffrire operando il bene che facendo il male’: non vuol dire che è bene soffrire, ma che, quando soffriamo per il bene, siamo in comunione con il Signore, il quale ha accettato di patire e di essere messo in croce per la nostra salvezza. Quando allora anche noi, nelle situazioni più piccole o più grandi della nostra vita, accettiamo di soffrire per il bene, è come se spargessimo attorno a noi semi di risurrezione e di vita e facessimo risplendere nell’oscurità la luce della Pasqua. È per questo che l’Apostolo ci esorta a rispondere sempre ‘augurando il bene’: la benedizione non è una formalità, non è solo un segno di cortesia, ma è un dono grande che noi per primi abbiamo ricevuto e che abbiamo la possibilità di condividere con i fratelli. È l’annuncio dell’amore di Dio, un amore smisurato, che non si esaurisce, che non viene mai meno e che costituisce il vero fondamento della nostra speranza.

Cari amici, adesso comprendiamo anche perché l’Apostolo Pietro ci chiama ‘beati’, quando dovessimo soffrire per la giustizia. Non è solo per una ragione morale o ascetica, ma è perché ogni volta che noi prendiamo la parte degli ultimi e degli emarginati o che non rispondiamo al male col male, ma perdonando e benedicendo, noi risplendiamo come segni vivi e luminosi di speranza, diventando così strumento di consolazione e di pace, secondo il cuore di Dio”.

All’udienza, Papa Francesco ha anche ricordato l’attentato di sabato scorso nella metro a San Pietroburgo che ha causato 14 vittime: “Il mio pensiero va in questo momento al grave attentato dei giorni scorsi nella metropolitana di San Pietroburgo, che ha provocato vittime e smarrimento nella popolazione. Mentre affido alla misericordia di Dio quanti sono tragicamente scomparsi, esprimo la mia spirituale vicinanza ai loro familiari e a tutti coloro che soffrono a causa di questo drammatico evento”.