L’ombra del caso Consip sulle primarie del Pd

Per il governo guidato da Paolo Gentiloni la cerimonia per i Trattati europei non è stata solo una pura formalità. Lateralmente alle foto di rito si è giocata una partita difficile e serrata, tesa a mettere un tassello nel difficile rilancio dei rapporti con l’Ue e il rilancio della stessa Comunità. Eppure la maggioranza del Pd, a partire da Matteo Renzi, ha guardato oltre la festa. La dead-line è rappresentata dal Def da inviare a Bruxelles entro il 10 aprile ed i vertici dem, nei giorni scorsi, hanno chiarito al ministro Pier Carlo Padoan che il documento dovrà rispondere ai cittadini e non agli euro-burocrati. “I numeri li garantiamo noi anche perché gli scissionisti di Mdp si stanno sfilando nei fatti”, è l’avvertimento lanciato al Mef.

Per scrivere l’agenda del governo, come Gentiloni ha definito il Def all’assemblea dei senatori, questa settimana ci sarà una prima assemblea dei gruppi con il ministro dell’Economia. Non un commissariamento da parte di Renzi, assicurano i dem, ma una costruzione comune con il Mef sulle priorità del documento che di fatto traccerà le linee della manovra autunnale. La coperta è corta e Bruxelles batte cassa chiedendo di rientrare sul deficit con una manovrina da 3,4 miliardi per evitare la procedura di infrazione. Ma Renzi, sul punto, è inamovibile: niente nuove tasse, niente tagli lineari ai servizi e l’individuazione di misure “popolari”. Insomma, serve roba elettorale e non tecnica.

Nel frattempo la battaglia con Beppe Grillo infuria sempre più e Renzi non vuole scontare nelle urne del 2018, se vincerà le primarie, il sostegno ad una legge di stabilità lacrime e sangue e un europeismo acritico. Il braccio di ferro con il movimento di Bersani e D’Alema, poi, non è meno leggero per conquistare lo spazio a sinistra. Le distanze si misurano nelle votazioni in Parlamento oltre che in rapporti personali sempre più al lumicino. Dunque il quadro generale è tutt’altro che sereno e le primarie del Pd rischiano di acuire ulteriormente le tensioni e le lacerazioni fra le varie componenti presenti sul campo. Non a caso resta in piedi una domanda: l’inchiesta della Magistratura sul caso Consip potrà condizionare l’esito delle primarie, in programma il prossimo 30 aprile? Ne è convinto il 56 per cento degli italiani. Di parere diverso risulta quasi un terzo dei cittadini. Il dato emerge da un sondaggio condotto dall’Istituto Demopolis diretto da Pietro Vento dei primi di marzo e confermato proprio in questi giorni.

Nel 2005 oltre 4 milioni e 300 mila elettori si recarono ai gazebo per la scelta di Prodi quale candidato premier; 3 milioni 550 mila parteciparono alle Primarie del 2007 che videro l’elezione a segretario di Walter Veltroni. Oltre 3 milioni di cittadini contribuirono all’elezione di Bersani a segretario nazionale nel 2009 e a candidato Premier nel 2012. Un anno dopo, in 2 milioni e 800 mila si recarono ai gazebo in occasione della netta vittoria di Matteo Renzi contro Cuperlo e Civati. Se si votasse oggi, secondo la stima rilevata dall’Istituto Demopolis, parteciperebbero alle primarie circa 1 milione e mezzo di elettori: poco più della metà rispetto al 2013. E questo dato sembrerebbe favorire l’ex premier. Che non sembra essere affatto convinto, dato che Orlando è dato in forte ascesa e i possibili votanti pure. Il quadro, dunque, è quanto mai frastagliato e la foto di gruppo è sempre più sfrangiata. Non a caso Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Researchm qualche giorno fa ha rimarcato il fatto che in pochi giorni, il numero dei potenziali partecipanti alle primarie è cresciuto di un milione: siamo saliti a 4 milioni e mezzo. Secondo la Ghisleri l’aumento dell’affluenza non è un buon segnale per Renzi. Anzi. ”Non è questione di gufi, ma di politica autoreferenziale, spesso arrogante, sprezzante. Ecco, di fronte a questo tipo di politica, la gente ha sempre lo stesso tipo di reazione: decide di andare a votare non per un’idea, ma contro qualcuno”. Le primarie Pd potrebbero quindi trasformarsi in un’ennesima corsa al voto per delegittimare l’ex premier. Fatto che è già successo al referendum costituzionale del 4 dicembre.