La vera storia la fanno i poveri

La vera storia la fanno i poveri. Così diceva sovente don Oreste Benzi. Si è reso evidente durante l’ultimo terremoto in Abruzzo e nelle Marche dove i senza fissa dimora accolti nella Capanna di Betlemme di Chieti hanno fatto posto agli sfollati, a chi era rimasto senza casa, senza possibilità di andare a scuola, in balia delle onde sismiche capaci di creare crisi di angoscia, di panico, di terrore, togliendo il sonno e la speranza del domani.

Luca e i suoi fratelli hanno aperto la porta e il cuore della Capanna: come don Sergio ha aperto la sua chiesa di Tolentino mettendo duecento lettini per far posto ai poveri cristi desolati e disperati. Hanno trovato una grande famiglia, quella della Comunità Papa Giovanni XXIII che ha nel suo dna il non lasciare soffrire nessuno da solo, attenta al grido della povera gente che dall’oggi al domani si ritrova senza niente. La carità è condivisione delle risorse, dei beni, delle case, del lavoro, della possibilità di accedere alla scuola e alle cure, e un Paese è solidale quando non lascia nessuno indietro.

Nel libro della Genesi, al termine della creazione, guardando ogni opera Dio vede che era cosa buona, e creando l’uomo e la donna vide che era cosa molto buona. A noi è affidata la custodia del creato e la possibilità di costruire strutture e abitazioni a servizio, a beneficio degli uomini. Auspichiamo che la ricostruzione delle tante macerie tenga conto del rispetto dell’ambiente e delle norme antisismiche, che non si costruisca sopra terreni franati, che i fiumi siano ripuliti. Che l’uomo sia il signore della creazione non nel senso di proprietario assoluto che non tiene conto di niente e di nessuno, ma sappia mettere la sua intelligenza e tecnica a servizio della vita.

La parte più autentica del nostro popolo emerge nei grandi momenti di sofferenza nazionale, di catastrofi, inondazioni, terremoti con una donazione che commuove e ci interpella. Questa scelta di condivisione deve diventare però quotidiana, feriale, esprimendosi nelle nostre famiglie, nelle nostre scuole, nelle fabbriche, negli ospedali.

Solo se faremo di questi luoghi il terreno del servizio che si esprime per il bene comune, l’interesse per i più deboli che si manifesta in questi momenti eccezionali non si limiterà a essere una parentesi, seppur significativa, che ci fa commuovere senza tuttavia convertirci sul serio.

La coscienza di essere un unico popolo ci deve portare a mettere la spalla sotto la croce del fratello ma anche a rimuovere le cause della sofferenza che l’uomo produce per altri uomini.

Tratto da “Sempre”