Berlusconi e i delfini bruciati

Ogni qualvolta si sente parlare di aria nuova, di cambiamento, se non addirittura di rinnovamento, nel centrodestra, automaticamente viene da chiedersi: a chi tocca stavolta? Nel corso della sua inesauribile cavalcata per i sentieri della prateria politica di casa nostra, il cavaliere azzurro Silvio Berlusconi, non è limitato a battere gli avversari che, di volta in volta, gli ha proposto il centrodestra, ma ha bruciato tutti i possibili, e impossibili, delfini del suo schieramento. Sia quelli proposti da lui, sia quelli emersi dalla coalizione.

A stoppare la strada ai presunti eredi di Silvio, nella maggior parte dei casi, non sono stati risultati elettorali o primarie, ma le condizioni create da Berlusconi. L’ex Cavaliere, capace a creare consenso come nessuno altro ha fatto nella storia repubblicana, è letteralmente incapace quando si tratta di dare forma al proprio successore. E’ un po’ come se un male atavico, ancestrale, prendesse il sopravvento sullo spirito del leader azzurro. Dunque con il lancio da parte dell’ex premier del governatore del Veneto Luca Zaia come nuovo leader della coalizione, sempre che la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo non decida di rimetterlo in corsa prima del previsto, siamo di fronte all’ennesimo delfino di Silvio?

La proposta è arrivata dallo stesso ex Cavaliere nel corso di un programma televisivo. “Se Berlusconi non potrà tornare in campo, il centrodestra dovrà trovare qualcuno al suo interno. Il governatore del Veneto Luca Zaia si sta comportando molto bene. Dico Zaia o qualcun altro in grado di emergere e convincere tutti”, ha detto il leader di Forza Italia. L’invito del vecchio leone, però, è stato rimandato al mittente. “Amministrare una Regione non è una questione semplice ma di impegno quotidiano e di credibilità”, ha spiegato Zaia che ha declinato l’invito. Una buona notizia per il Carroccio, che avrebbe rischiato di perdere uno dei suoi uomini migliori finendo con lo spaccare il partito, forse il vero obiettivo di Berlusconi.

E un’intelligente uscita di sicurezza per lo stesso Zaia, almeno stando alla sorte toccata a tutti i delfini di Berlusconi, bruciati prima del tempo. Del resto come non sottolineare il fatto che l’ex Cavaliere non ha fatto il nome di Matteo Salvini o di Giorgia Meloni, i due giovani leader del centrodestra che da tempo chiedono le primarie e che avrebbero buone chance di guidare la coalizione, ma ha puntato su un successore (tra l’altro neanche del suo partito) che difficilmente prenderà il suo posto.

È un po’ quello che ha sempre fatto con tutti i possibili epigoni che si sono succeduti. L’ultimo in ordine cronologico è stato Stefano Parisi: proposto come candidato sindaco a Milano, il pupillo di Berlusconi ha dato filo da torcere a Beppe Sala, per poi essere lasciato a se stesso tanto da fondare una nuova forza politica, Energia per l’Italia, e solo in un secondo momento ritornare nell’alveo del centrodestra berlusconiano, con un riavvicinamento tra i due. Parisi resta comunque un caso a parte, atipico in tutto e per tutto.

Perché nel corso degli anni, tutti gli altri eredi designati si sono persi per strada. Il primo è stato Gianfranco Fini, l’alleato naturale, il “successore designato” come disse lo stesso Berlusconi nel 2007 che lasciò il Popolo della Libertà, il partito del predellino fondato insieme all’ex Cavaliere, tre anni più tardi, al termine della celebre direzione del “Che fai, mi cacci?”.

Si passa poi a Giovanni Toti e Raffaele Fitto. Il primo fu investito del ruolo di consigliere politico, dopo l’addio agli studi del Tg4 in vista di una promettente carriera politica in chiave nazionale che si è arenata alle prime elezioni, con la candidatura e la successiva vittoria a governatore della Liguria. Il secondo ha detto addio a Forza Italia dopo essere stato ministro nel governo Berlusconi, aver rappresentato il volto nuovo degli azzurri ed essere stato designato come un degno erede. Anche Giulio Tremonti, il braccio economico della politica di Berlusconi, era stato indicato come possibile successore, per poi finire nel dimenticatoio. L’unico sfuggito alla maledizione del delfino è stato Angelino Alfano, passato dall’essere ministro della Giustizia con tanto di lodo in aiuto dell’ex Cavaliere e proteste davanti al Tribunale di Milano da segretario del Pdl, a diventare l’avversario politico con la nascita del Nuovo Centro Destra e l’appoggio ai governi Pd. Così, mentre la leadership del centrodestra è ancora tutta da definire, l’ex delfino si gode il successo personale, a capo di un suo partito e ministro (prima degli Interni e ora agli Esterni) sempre presente negli ultimi governi. Alla faccia della maledizione.