TESTAMENTO BIOLOGICO: PRONTI ALLE BARRICATE

Risuona ancora nelle orecchie, l’avvertimento che un nugolo di “novelle Cassandre” intonava un anno fa, dopo l’approvazione della legge sulle unioni civili. L’agenda radicale del Governo non ha ancora raggiunto l’ultima pagina – avvisavano -, presto si tenterà di varare provvedimenti per legalizzare la cannabis e per introdurre anche in Italia la cosiddetta “dolce morte”, l’eutanasia.

In dodici mesi non sono mancate novità. Il presidente Renzi si è dimesso e al suo posto è subentrato Gentiloni. Il programma dell’esecutivo è però rimasto intatto, anche sui temi etici. L’agenda radicale non è stata rimossa dalla scrivania di Palazzo Chigi.

Se risale all’estate scorsa il tentativo (vano) di legalizzare le droghe leggere, è di questi tempi l’esame del testo sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) o testamento biologico.

Prevede la facoltà per il paziente di interrompere le cure, comprese nutrizioni e idratazione artificiale, ma resta assicurata l’erogazione di cure palliative. Inoltre il medico dovrà rispettare la volontà del paziente sottoscritta su un biotestamento e sarà così esonerato da ogni responsabilità civile o penale.

Sintesi di quindici progetti sullo stesso tema, la discussione del testo sarebbe dovuta avvenire il 30 gennaio. L’enorme mole di emendamenti presentati (circa 3 mila) ha però spinto il presidente della Commissione Affari sociali della Camera, Mario Marazziti, ad accettare solo due proposte di modifica per ognuno dei cinque articoli della legge e a spostare il dibattito al 20 febbraio.

Fuori dal Parlamento, presso l’opinione pubblica, il dibattito è già vivace. Sono in tanti a protestare contro quella che definiscono una legge “lesiva della dignità della persona”. Sulle barricate associazioni pro-vita come “Generazione Voglio Vivere”, che ha lanciato una petizione per fermare l’iter legislativo.

Stesso intento si propone la raccolta firme della “Associazione ProVita Onlus”, il cui presidente, Toni Brandi, denuncia a In Terris che “privare il paziente di cibo e bevande significa farlo morire di fame e di sete, ucciderlo”.

Brandi rileva che “ovunque è stata legalizzata l’eutanasia, la morte in breve tempo ha dilagato”, giacché “i paletti posti dalle leggi sono saltati, si registrano abusi e vengono uccise persone anche che non hanno dato il consenso” sul biotestamento.

Il presidente di ProVita ricorda i casi di persone come Max Tresoldi e Salvatore Crisafulli, che “risvegliati dopo un lungo coma, hanno affermato di essere stati coscienti benché incapaci di parlare” e che talvolta “sentivano i medici discutere sulla possibilità di ‘staccare la spina’”.

Non sono mancati casi di “risveglio” presso la Casa Iride, alla periferia di Roma, fondata nove anni fa dall’avv. Francesco Napolitano con l’intento di assistere malati in stato vegetativo. E la stessa associazione presieduta dall’avv. Napolitano – “Risvegli Onlus” – ha contribuito a realizzare nel 2012 il “Centro Adelphi”, per aiutare persone con disabilità accentuate dopo essere uscite dallo stato vegetativo.

Intervistato da “In Terris”, Napolitano si dice “sconcertato” dalla legge in questione, anzitutto – spiega – perché “deteriora il rapporto di fiducia tra paziente e medico”, obbligando quest’ultimo ad “ubbidire alla volontà espressa dal paziente nelle ‘dichiarazioni anticipate di trattamento’”.

Tuttavia – osserva Napolitano – “nessuno è in grado di sapere quale sarà la sua reale condizione e la sua reale volontà quando eventualmente un giorno si troverà in stato vegetativo”. Ed aggiunge che “la grande assente di questa legge è la famiglia”.

In oltre vent’anni d’attività in questo campo, Napolitano ha seguito con la sua associazione tante persone in stato vegetativo, spesso giovani vittime di incidenti stradali. “Ebbene – afferma – non ho mai sentito un familiare esprimere nemmeno lontanamente il desiderio di veder morire il proprio caro che si trovava sul letto d’ospedale”.

Molti di questi malati sono poi giunti a morte naturale. Altri invece, hanno superato la fase di coma e sono oggi seguiti dal personale sanitario presso il Centro Adelphi. “Nessuno di coloro che sono usciti da uno stato vegetativo mi ha mai chiesto di farla finita – rincara Napolitano -. Certo, ci sono momenti di debolezza, di depressione, ricordi di una vita che non potrà più tornare come era prima. Ma c’è sempre, alla fine, l’accettazione di questo stato di cose”.

Casa Iride e Centro Adelphi sono due luoghi in cui la vita trionfa, anche quando è appesa al fragile filo della malattia irreversibile. Napolitano racconta che chiunque venga come ospite a visitare queste due strutture, se ne va chiedendosi il motivo per cui non ce se siano altre in giro. “Questa domanda bisognerebbe farla alla politica”, ribatte lui.

Farla magari prima del voto. Ma i tempi sono stretti. E l’approvazione della legge è in sospeso tra un calendario d’aula che non consente ritardi e la volontà di perseguire l’agenda radicale denunciata da quelle “novelle Cassandre” un anno fa.