Cyberbullismo: per i giovani non è grave insultare sul web

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Insulti sul web? Per i giovani non sarebbe in fondo così grave. Scarsa percezione di quanto, realmente, le azioni di denigrazione intraprese sulla rete possano influire sulla personalità della vittima: questo l’inquietante dato che emerge dai primi risultati della ricerca condotta dall’Università La Sapienza di Roma sul fenomeno del bullismo virtuale o “cyberbullismo”, pietra angolare dell’iniziativa dell’associazione Moige “Giovani ambasciatori contro il bullismo e il cyberbullismo”. Nel corso di una conferenza di presentazione svoltasi presso l’Ufficio relazione esterne e Cerimoniale del Dipartimento di Pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, l’indagine svolta dall’ateneo ha messo a disposizione del pubblico alcuni elementi riscontrati attraverso il “metodo integrato” del focus-group, messo in pratica fra 1500 adolescenti (800 ragazzi, 700 ragazze) delle scuole secondarie di primo e secondo grado, dal quale risulta una latente sottovalutazione del problema da parte degli stessi autori degli insulti, oltre a una poca consapevolezza sulla potenza del mezzo tecnologico e dei suoi effetti a breve e lungo termine.

Insulti web? Per i ragazzi non è grave

Qualche numero: per l’82% degli intervistati, ad esempio, insultare o ridicolizzare un compagno non è ritenuto un atto grave, mentre l’86% minimizza sulle conseguenze di tali atti via web: “Si abbassa, in un certo senso, il termometro dell’empatia – ha spiegato la professoressa Annamaria Giannini, docente di Medicina e psicologia presso l’ateneo romano -. Molte volte, avviene una sorta di capovolgimento: è la vittima stessa a essere inquadrata come responsabile della costruzione dell’insulto, per il suo aspetto fisico o per il suo comportamento timido”. E ancora: il 76% sostiene addirittura che la persona vessata non avrà conseguenze, non ritenendo grave (68%) postare immagini senza autorizzazione né creare profili falsi (58%). In generale, sussiste non solo una scarsissima percezione dell’implicita capacità di diffusione dei mezzi di comunicazione, ma anche dell’essenza stessa dell’atto compiuto, in molti casi di stampo non etico o illegale senza che nessuno degli autori ne abbia cognizione: “Si tratta quasi di un analfabetismo affettivo del prodotto in rete. Dopo aver effettuato un sondaggio fra i ragazzi, per capire se avessero o meno percezione di quanto il loro materiali viaggi sulla rete, la maggior parte ha risposto ‘poco’ o ‘abbastanza’: questo evidenzia una poca consapevolezza perché, per “abbastanza”, intendono la loro cerchia, senza rendersi conto del contorno molto più ampio che ha ciò che loro postano”.

Cyberbullismo e disimpegno morale

Vari e diversificati i temi sui quali si concentrano i comportamenti aggressivi: dall’aspetto fisico all’abbigliamento, dalla scarsa conformità al modello “predefinito” di giovane (le cosiddette condotte “da bambino”) all’attenzione alle regole. Aspetti, questi, intesi come passibili di denigrazione attraverso atteggiamenti considerati distanti proprio perché “virtuali”, lontani dalla realtà effettiva: questo meccanismo di disimpegno morale consente al bullo di autoscagionarsi dalle sue responsabilità, conservando un’immagine positiva di sé. “I primi dati raccolti evidenziano come sia urgente educare al corretto uso della rete, da un punto di vista tecnico ed emotivo”.