Gregari? Ora basta

Devo ad una citazione di Bernard J. F. Lonergan fatta dal Vescovo Monari il punto di partenza di quello che, a tutti gli effetti, affermo essere non un articolo bensì una confessione che contiene l’impegno responsabile a contrastare con ogni energia la condizione di gregariato nella quale siamo costretti. Ebbene, Lonergan ha scritto: “Gli uomini si separano, si allontanano, diventano ostili quando hanno perso il contatto, quando non si capiscono più l’uno con l’altro, quando giudicano in maniera opposta, … essi uniscono una comunità o la dividono in fazioni o la lacerano”. Ecco, nel bel mezzo di una crisi sociale in parte subita a causa di processi globali inarrestabili, in parte alimentata a causa dell’intersecarsi di varie incapacità politiche, nonché da processi di corruzione pubblica e privata e infine da una rinnovata presenza di manifestazioni di forza di associazioni criminali, cioè in una situazione nella quale i poteri, tutti, dovrebbero operare per rinsaldarci in sentimenti di comunità, i poteri, tutti, dimostrano una univoca volontà disgregatrice.

E noi che pensiamo ed operiamo nella prospettiva comunitaria, personalista e del bene comune (che contiene ed esalta i beni umani concreti, vale a dire l’educazione, la salute, il lavoro, la casa, il benessere) ci accorgiamo di essere gregari in un gruppo che corre verso la negazione del bene comune, che spinge a diventar fazioni, a menar le mani, ad escludere, ad offendere.

Arriva, per tutti, il momento, prima che sia troppo tardi, di dismettere la casacca del gregario e di esser protagonista e responsabile. Arriva il momento di denunciare la nudità della classe politica che più, in diverse forme partitiche, si è arrestata a coprire con la citazione dei De Gasperi, degli Sturzo, dei Dossetti (anche travisandone e confondendone i rispettivi principi ispiratori) la totale assenza di elaborazione autonoma di contenuti programmatici ispirati ai valori incarnati della Dottrina sociale della Chiesa. Una tecnica divenuta col tempo una specie di autodenuncia di un gruppo dirigente; con l’eccezione di Moro, nessuno di loro è fatto oggetto di citazione. Nessuno di loro è diventato ispiratore del benché minimo tentativo di resistenza contro i prepotenti poteri finanziari ed economici. Nessuno di loro ha dato prova di saper difendere la politica nella sua accezione di prevalente strumento di partecipazione dei cittadini alla formazione della volontà pubblica.

Fino al recente referendum costituzionale, il gregariato si manifestava con la disaffezione al voto, ma si trattava pur sempre di un atteggiamento passivo, mortificante. Poi, una occasione forte, appunto il referendum, che ha risvegliato le coscienze per difendere un simbolo democratico, la Costituzione. Diciamo la verità, chi poteva essere interessato alla sopravvivenza del Cnel o alla revisione delle procedure di formazione della legge? E, sul piano opposto, chi poteva ignorare il segnale di una vera e propria sconfessione della carta democratica comune? Per di più, venuta alla ribalta a causa del referendum, mentre era rimasta sotto traccia per tutto il tempo del suo iter parlamentare. Sfido chiunque a dimostrare che Governo e partiti abbiano usato la stessa intensità informativa (e persuasiva) della campagna referendaria durante l’esame della riforma in Parlamento! Ma questo non è un espediente retorico, è la denuncia della sottrazione alla democrazia della capacità protagonistica del cittadino, della destrutturazione delle istituzioni nelle quali si sprigiona lo spirito di comunità che assegna a ciascuno ruoli e funzioni necessarie alla vita della collettività.

Parafrasando un’antica lezione del già citato Vescovo Monari (e colgo l’occasione per togliermi un peso dallo stomaco e dire che i sacerdoti, come quelli che innescarono la resistenza nazionale dei paesi dell’Est Europa, hanno il diritto di esprimersi sui diritti) i cittadini si sono trovati per molto tempo a non disporre di “beni d’ordine” cioè di istituzioni “che orientassero e sincronizzassero le attività delle persone”. I partiti hanno perso ogni credibilità e solo la viscosità oligarchica li ha conservati nei ruoli. I movimenti, presto o tardi, hanno assunto una vocazione populistica, hanno assunto la demagogia come principale arma politica, cosicché l’intero paese, persona per persona, se ed in quanto d’ostacolo alla realizzazione di un programma (volontà, questa, perfettamente legittima se operata in chiave democratica), è diventato suo malgrado, terreno di uno scontro distruttivo sul piano sociale.

L’Italia è preda di partiti e movimenti che hanno sbagliato in tutte le decisioni che hanno preso e ad onta di tutto questo disastro continuano ad occupare le istituzioni. La fine del gregariato inizia dalla costruzione di un un nuovo modello di partecipazione alla politica (e qui preciso la prima persona plurale del primo capoverso) dei cattolici che si scrollano di dosso il peso del fallimento di alcuni partiti, che non accettano di essere e di essere considerati una lobby, che trovano la forza, non già di scomunicare, ma di battere in campo aperto i portatori di modelli fallimentari tanto neoliberali che socialisti, che cercano e trovano unità d’ispirazione e d’azione concreta nella Dottrina sociale della Chiesa e nella Costituzione, l’una e l’altra contribuendo a rendere viventi.

Cominciamo dalle cose apparentemente più difficili, cioè dallo smascheramento dei falsi amici del popolo, e se loro dicono di dover spazzare via tutti i mostri, spazziamo via anche loro; e quando assumono di essere i critici del vecchio mondo, proviamo di esser stati critici (e perciò perseguitati) prima di loro; e se sviluppano tendenze anarchiche, sconfessando la cultura, l’informazione, la giustizia, denunciamoli; e se usano le istituzioni, difendiamole attivamente; e se pensano di rieducarci, sbeffeggiamoli; e se imbrogliano le coscienze limpide con false accuse e false promesse, reagiamo in fretta; e se sono stupidi ed ignoranti, diciamoglielo, con tutti i mezzi a disposizione.

E, infine, diamo prova concreta di batterci contro la corruzione. Come ha detto Davigo, essa è più grave se perpetrata dalle classi dirigenti. Essa ha generato la crisi che viviamo; restiamo uniti per batterla e per battere i suoi falsi nemici.