Myanmar, una preghiera ecumenica il primo gennaio. Il Cardinal Bo: “Il 2017 sia l’anno della pace”

Myanmar

Una giornata di digiuno e di preghiera, che sia propedeutica a un anno di pace e di tolleranza reciproca, cercando, attraverso un’invocazione comune, di contribuire alla fine di una lunga ed estenuante guerra fratricida. Questo, almeno, è l’augurio dell’arcivescovo di Yangon, cardinal Charles Maung Bo, in riferimento alle condizioni di perenne conflitto vissute dal suo Paese, il Myanmar. Non una guerra soltanto, ma diverse situazioni di scontro, a sfondo civile o etnico-religioso, che rendono i territori della Birmania in uno stato di perenne disagio sociale. Ed è proprio alla luce di tale criticità che il porporato ha lanciato il suo appello, affinché il venturo 2017 sancisca definitivamente la posa degli armamenti.

Non è certo la prima volta che il cardinal Bo richiama l’attenzione dell’opinione pubblica sulle condizioni sociali dello Stato del Sud-Est asiatico. E’ dal 1948, ossia dalla dichiarazione dell’indipendenza dal colonizzatore britannico e dall’omicidio del leader politico che trattò con Londra, Aung San (padre del Premio Nobel Aung San Suu Kyi), che il Myanmar vive una violenta guerra civile, portata avanti in particolare dall’etnia ribelle dei Karen contro il governo centrale. “Una guerra cronica”, l’ha definita il cardinale, della quale è tutto il popolo che paga le conseguenze. Per questo, il primo giorno del nuovo anno, in nome di una possibile convivenza etnica, “facciamo sì che tutti coloro che affollano i nostri monasteri, chiese, templi e moschee portino cartelli e bandiere con la frase ‘stop a tutte le guerre!’. Cerchiamo di trascorrere la giornata in preghiera e digiuno per la pace, per cambiare i cuori di tutte le persone. Urge porre fine alle guerre che tuttora attraversano il Myanamr e rendere il 2017 l’anno della pace”.

“Ogni anno – ha spiegato ancora il porporato birmano in un messaggio riportato dall’Agenzia Fides – ci salutiamo l’un l’altro con il messaggio “felice anno nuovo”. Ma, sinceramente, non c’è felicità in molte parti di questo Paese. La guerra prosegue in molte aree e per più di 200 mila sfollati nei campi profughi, non sarà un nuovo anno di felicità. La guerra, iniziata sessanta anni fa, ancora infuria. La Cambogia ha risolto i suoi conflitti, il Vietnam ha risolto le sue guerre. Questi paesi vicini sono in cammino verso la pace e la prosperità. Noi in Myanmar siamo ancora coinvolti in una guerra impossibile da vincere”.

Per questo motivo è necessaria una presa di coscienza collettiva, una comunione spirituale mirata all’invocazione di un “cessate il fuoco” più che mai necessario. Una giornata, quella del prossimo 1 gennaio, da trascorrere dunque in uno spirito ecumenico, dimenticando le diatribe etniche e religiose che attanagliano il Paese. Una preghiera comune, magari di matrici diverse, ma tutte orientate verso un unico desiderio: proclamare il diritto a un’esistenza nella pace e nel rispetto reciproco. Insieme, sul suolo della stessa nazione.