QUANDO MUORE UNA PARTE DI TE

Trentadue i volontari formati pronti a rispondere, giorno e notte. Centosettanta i “casi” trattati in un anno. È il progetto Fede e Terapia, dell’Associazione difendere la vita con Maria, che vuole accompagnare le genitorialità ferite dall’aborto. Perché ogni essere umano è un progetto di Dio, merita rispetto e non può essere considerato un rifiuto. L’associazione ha sede a Novara, è presieduta da don Maurizio Gagliardini e si richiama ai valori dell’enciclica Evangelum vitae, promulgata da san Giovanni Paolo II il 25 marzo 1995. E da qualche tempo ha anche attivato un numero verde (800 969 878), che può essere contattato 7 giorni su 7.

In questo primo anno di attività, la regione da cui sono arrivate più chiamate è la Lombardia (22,6%) mentre la fascia di età più rappresentata è stata quella che va dai 51 ai 60 anni (26,7%). A chiamare sono state maggiormente le donne (68%) che anche a distanza di trent’anni non sono riuscite a superare lo shock emotivo. Tra quel 32% di uomini, i volontari dell’associazione ricordano in modo particolare la telefonata di un papà che non riusciva a darsi pace per la morte della figlia avvenuta in seguito ad un incidente stradale. Quando la ragazza aveva 18 anni, lui l’aveva obbligata ad abortire.

Benedetta Foà, 49 anni, milanese, è la psicologa clinica dell’Associazione difendere la vita con Maria. In un’intervista apparsa sull’ultimo numero della rivista Anspi, Associazione nazionale San Paolo Italia, rilasciata al direttore Stefano Di Battista, che è anche il portavoce dell’Advm, ha affermato che “il lutto della gravidanza non ha paragoni perché non hai potuto vedere il bimbo. Come fai a lasciare andare qualcuno se non ne conosci le sembianze? Non puoi. A livello psicologico, quindi, la percezione è che sia morta una parte di te, la parte gioiosa, spensierata che amava la vita perché era essa stessa contenitore di vita”. La psicologa ha citato anche uno studio condotto in Finlandia sulle cause di suicidio femminile che ha preso le mosse dalle cartelle cliniche delle pazienti. Le minorenni che hanno abortito si sono uccise con frequenza 5 volte maggiore delle altre. L’aborto, spontaneo o indotto, è una ferita che lacera l’anima e non si rimargina. “La realtà è che le bugie che ci diciamo durano poco – ha detto ancora la dottoressa Foà – si tratta di un evento drammatico che ti dà la certezza di aver subito qualcosa di tragico e di irreparabile”.

Le pazienti che si sono rivolte all’associazione hanno cercato un supporto clinico e, soprattutto, quello spirituale di un sacerdote: i casi sono stati molto diversi tra loro e, dunque, la capacità di accoglienza degli operatori deve essere a 360 gradi. Tante donne hanno raccontato di non aver potuto scegliere, anzi di aver creduto che l’aborto, praticato quando erano giovanissime, fosse l’unica soluzione, mentre poi con il passare degli anni, si è rilevato causa scatenante di problemi. E poi, ci sono le donne che avrebbero voluto ma non hanno potuto essere madri: il quinto mese di gravidanza; la corsa in ospedale e il ricovero per un aborto spontaneo in corso; le contrazioni fortissime e la dilatazione; la sala travaglio; l’inutile tentativo dei medici di rallentare la nascita del bimbo, che viene alla luce quando è già morto. Storie di coppie di sposi che hanno provato con la fede a guarire le ferite dell’anima e che hanno voluto dare una degna sepoltura al loro bambino.

L’Associazione si occupa anche della sepoltura dei bambini non nati attraverso la liturgia del “battesimo delle lacrime”: negli ultimi due mesi, i sacerdoti hanno celebrato messe di suffragio per i bambini non nati, presso il cimitero di Lambrate a Milano e presso il cimitero Laurentino a Roma. Dopo un aborto, il feto viene annoverato come “rifiuto sanitario pericoloso a rischio infettivo” al pari delle garze sporche di sangue o dei liquidi organici e smaltito secondo il DPR 254 del 2003. Il decreto 285 del 1990 ha aggiornato il regolamento di polizia mortuaria e ha introdotto un’eventualità prima negata: “A richiesta dei genitori – si legge – nel cimitero possono essere raccolti anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane”. Prima di allora, la possibilità di seppellimento era riservata solo ai feti dalle 20 alle 28 settimane.

Di aborto è tornato a parlare Papa Francesco nella lettera apostolica “Misericordia et Misera”, a conclusione del Giubileo straordinario, dove ha concesso ai sacerdoti, anche al di fuori del periodo giubilare, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato il peccato dell’aborto. “Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente – ha scritto il Papa –. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione”.