Perché la riforma non è illegittima

Alcuni autorevoli costituzionalisti sostengono che la riforma costituzionale sarebbe illegittima in quanto approvata da un Parlamento eletto sulla base di una legge elettorale dichiarata incostituzionale a seguito della sentenza della Consulta numero 1 del 2014. Sostengono inoltre che il quesito del referendum non consentirebbe ai cittadini di capire l’oggetto della riforma. Le cose stanno diversamente.

La sentenza in questione non può essere intesa come freno ai poteri degli altri organi statali, in particolare del Presidente della Repubblica (Napolitano accettò la rielezione sul presupposto che le forze politiche facessero le riforme in cantiere da trent’anni) e le Camere (i cui atti, secondo la stessa Corte, avrebbero mantenuto piena validità giuridica anche dopo la sentenza). La declaratoria di incostituzionalità di una legge elettorale non si può assimilare all’atto di scioglimento delle Camere (questo è l’argomento analogico della Corte), che compete solo al capo dello Stato. Tanto è vero che in questa pronuncia manca un termine finale oltre il quale considerare non più ordinaria l’attività del Parlamento: ciò che non può esistere nel caso dello scioglimento dello stesso. Sul punto la sentenza non ha detto altro e non è corretto utilizzarla per portare acqua alle ragioni del No. Si limita a fissare paletti per il Legislatore, come dovrebbe essere in una logica collaborativa tra i poteri dello Stato. C’è poi un argomento che potremmo definire “definitivo”: la tesi della “delegittimazione” avrebbe potuto avere qualche fondamento se la riforma fosse stata approvata dalle sole Camere con la maggioranza dei 2/3. Ma siccome si voterà il referendum, qui è il popolo che si fa “organo costituente” e perciò idoneo a sanare qualsiasi pecca formale o politica. Ed il popolo resta sovrano.

E non è neppure vero che il quesito referendario è oscuro e perciò illegittimo (punto sollevato anche dinanzi al giudice amministrativo e già respinto). L’ordinamento prevede che debba essere la corte di Cassazione – in particolare Ufficio centrale per il referendum – a “dichiarare la legittimità” del quesito referendario: evento che in questo caso è avvenuto. A sua volta, la regolarità del quesito discende da quella (identica) della richiesta di referendum, in merito alla quale l’Ufficio centrale è chiamato ad accertare la “conformità” alle norme dell’articolo 138 della Costituzione. L’art. 16 della legge n. 352 del 1970 predetermina la formula da sottoporre a consultazione e ciò a differenza del referendum abrogativo che consente qualche “denominazione” attraverso cui lasciar trasparire le intenzioni dei proponenti.

In sintesi, a seguito della decisione della Cassazione, il Presidente della Repubblica non poteva far altro che indire il referendum con la formulazione attuale del quesito.
Chi parla di illegittimità non vuole aiutare i cittadini elettori: tanto è vero che l’accoglimento di questa teoria finirebbe per generare una situazione paradossale, quale la riproduzione dei 47 articoli della riforma costituzionale sulla scheda elettorale. Dove sta allora la semplificazione per i cittadini? A me pare che si miri solo a far saltare il referendum.

La verità sembra un’altra. La tesi di fondo di questi autorevoli giuristi (non espressa ma intuibile a chi vuole leggere “tra le righe”) è la seguente: è inutile modificare la Costituzione perché l’intera classe politica è rissosa, inconcludente ed anche incompetente (salvo il caso in cui venga ascoltata una ristrettissima cerchia di esperti). Secondo questa visione lo stesso percorso dell’art. 138 (maggioranza assoluta più referendum) non andrebbe bene perché la Costituzione materiale suggerirebbe che sarebbe meglio evitarlo. E’ una concezione a mio avviso elitariadella democrazia e della politica perché considera immatura qualsiasi classe dirigente e tende a concentrare il vero potere in poche mani.

Sino al voto del 4 dicembre Interris.it, senza prendere una posizione, ospiterà i sostenitori del “Sì” e del “No” al referendum, per consentire ai lettori di farsi liberamente una propria opinione a riguardo