Una riforma che premia il potere

l Presidente del Consiglio afferma, in ogni occasione di confronto, che egli non ha toccato i poteri che già gli spettano ai sensi della vigente Costituzione. E’ vero. Ma bisogna aggiungere che con la riforma verrebbero modificati tutti i “contrappesi” all’Esecutivo che la vigente Carta ha previsto. Verrebbero cioè diminuite le potestà e il valore “rappresentativo” del Parlamento, mentre i capilista candidati alla Camera dei deputati sarebbero direttamente nominati dai partiti; verrebbe sminuito il prestigio del Presidente della Repubblica, che, dopo la settima votazione, essendo la maggioranza di 466 deputati, sarebbe essere eletto anche solo da 220 deputati; si inciderebbe negativamente sulla formazione della Corte costituzionale, due giudici della quale sarebbero eletti dal Senato, e cioè da consiglieri regionali o sindaci, (probabili giudici essi stessi) e così via dicendo.

Quanto al Senato, basta leggere il testo della riforma per capire in quale rischiamo di precipitare. La “rappresentanza popolare” verrebbe completamente abolita, poiché i Senatori sarebbero tutti “nominati”. Il bacino di persone tra le quali verrebbero scelti, è costituito, come si è detto, da consiglieri regionali e sindaci il cui “profilo professionale”, per così dire, è l’opposto di quello che immagina la generalità dei cittadini per la figura del “Senatore”. La scelta di questi, peraltro, si presterebbe a trattative di ogni tipo e ingenererebbe dubbi sulla opportunità dei criteri utilizzati. E le critiche, lo si creda, potrebbero continuare all’infinito.

Infine la implicita riforma dell’art. 138 è il cavallo di Troia per mezzo del quale diventerebbe facile la modifica anche altre parti della Costituzione, compresa la prima, riguardante i diritti fondamentali del cittadino (quello alla salute, al lavoro, all’istruzione, all’ambiente ecc). Infatti, una volta stabilito che non ci sono più due due rami del Parlamento di pari rango, ma una Camera dei deputati e un Senato, la cui formazione non garantisce la presenza in quell’Organo di soggetti effettivamente dotati delle caratteristiche professionali proprie del Senatore, e una volta deciso che, con l’attuale legge elettorale, può ottenere la maggioranza alla Camera dei deputati, a seguito di ballottaggio, anche il 20 o 25 per cento dei votanti (il che equivale al 12 per cento circa degli aventi diritto), ne conseguirebbe che, con il favore di una minima schiera di elettori, il Governo potrebbe proporre e ottenere dal Parlamento la modifica dell’intera Carta costituzionale.

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