NON SIAMO IN GUERRA

Non seguite i venditori di fumo che vogliono restiate sul divano, davanti al computer e al cellulare… Noi non siamo in guerra. Ma la risposta alle violenze di questo nostro tempo non è la “divanofelicità“. E neppure la paralisi causata dalla paura”. Così Papa Francesco ha esortato i giovani alla Giornata mondiale della gioventù in Polonia di fine luglio. Oltre 2 milioni lo hanno ascoltato con entusiasmo mentre spiegava che Gesù è l’unica risposta ai tanti segnali di violenza, e andare incontro al povero, al profugo, all’orfano senza paura delle differenze culturali e religiose deve essere lo stile del cristiano di oggi.

Tra questi c’era anche il gruppo giovani della Comunità di Minas Gerais che quest’estate l’appello del Papa nella loro esperienza di condivisione con i giovani e i disabili l’hanno preso sul serio. Wallyson, il più piccolo del gruppo, è tornato nel laboratorio di audiovisivi e spende il suo tempo con gli adolescenti a editare documentari, scattare foto per il web e la radio. Il richiamo a vivere l’accoglienza di chi è più ai margini l’ha vissuto prima sulla sua pelle e per questo – scrive – “Gesù ha cambiato la mia vita e mi ha fatto scoprire le mie passioni!”.

Carlos André con i bimbi porta avanti attività artigianali e di atletica nella Casa da juventude della Comunità in Brasile, nella periferia di Itaobim. La sfida del multiculturalismo in Brasile la vivono da sempre, con coraggio, nonostante le continue traversìe politiche. Ed effettivamente di giovani che questa paura di uscire dal proprio guscio, dalle mura del proprio paese per essere Chiesa in uscita, l’hanno superata, mettendosi in gioco in prima linea ce ne sono tantissimi.

Gennaro ha 25 anni, e ha vissuto un anno in Palestina per il progetto dell’Operazione Colomba, corpo nonviolento di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, di tutela dei diritti primari nel villaggio di At-Tuwani, che ha scelto la via della resistenza popolare nonviolenta. Una cosa ha imparato nell’incontro tra popoli in conflitto “sapere mettersi nei panni dell’altro e cercare di capire con gli occhi dell’altro i problemi, vivendo a stretto contatto e senza pregiudizi con gli uni e con gli altri”. È stato anche in Libano con i siriani dei corridoi umanitari e quest’estate l’ha vissuta sempre in emergenza nell’accoglienza dei profughi nel porto di Reggio Calabria ed è punto di riferimento nella Casa di accoglienza per minori stranieri. Altroché divanofelicità! “Qui l’emergenza è continua – racconta –. Ma c’è un linguaggio comune per questi bambini e ragazzini che accogliamo: il linguaggio della famiglia. Gli ricordo spesso che “sono tuo fratello, o tuo padre se vuoi, non un operatore”. D’altra parte viviamo nella stessa casa, anche se abbiamo diverse lingue, e tutti abbiamo bisogno di famiglia”. Il mondo è la casa comune in cui solo con la pace si può continuare a vivere.

Lo hanno imparato anche Alice e Sara che hanno vissuto per un anno in Olanda come volontarie di servizio civile e hanno avuto a che fare con la cultura olandese molto diversa dalla nostra. Hanno scoperto la bellezza della condivisione con gli ultimi attraverso la casa-famiglia che da tempo cerca di vivere la comunione ecclesiale con altre organizzazioni del territorio ma anche di creare legami con le comunità rom spesso ghettizzate. “Nonostante le politiche di chiusura delle frontiere – ci racconta Alice – anche in questo paese sono stati accolti i primi gruppi di profughi, un gruppo di donne eritree”. E Sara al suo ritorno da alcuni mesi ha scelto di vivere proprio al fianco dei rifugiati nella comunità di Sansavino. Queste e tante altre storie hanno caratterizzato l’estate di centinaia di giovani che con la Comunità Papa Giovanni XXIII hanno vissuto in diversi continenti i campi fuorilemur@ ed esperienze di volontariato internazionale, contrassegnate da due parole chiave affatto facili da vivere: pace e perdono.

Lo stile è sempre quello della condivisione con chi è più fragile, stando dalla parte delle vittime, di chi è più emarginato, degli ultimi nella storia. Come diceva don Oreste Benzi nelle prime esperienze coi giovani al fianco degli ultimi “I giovani hanno un entusiasmo e una
carica che li fa andare incontro al povero, senza paura della diversità. Ma poi ci vuole la convinzione per condividere la vita con quel povero”. Per questo di anno in anno ha incoraggiato a costruire con coraggio ponti di pace e ad essere “incendiari nell’amore, non pompieri”. Per questo i giovani possono essere in ogni angolo della terra, spesso fuori dai riflettori dei media internazionali, fermento per una nuova società, scrivendo nuove pagine di storia, pagine di pace e non di guerra.

Tratto da “Sempre”