Lampedusa, Brhane: “In 10 anni non è cambiato nulla: ogni giorno qualcuno muore nel Mediterraneo” 

L'intervista di Interris.it al presidente del Comitato 3 ottobre, il dottor Tareke Brhane, sul decennale del naufragio di Lampedusa nella Giornata della memoria delle vittime della migrazione

Foto: Comitato 3 ottobre

Sono passati dieci anni dal tragico naufragio di un barcone di migranti proveniente dalla Libia dinanzi il porto di Lampedusa. Il naufragio ha provocato 368 morti accertati e circa 20 dispersi presunti, numeri che la pongono come una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dall’inizio del XXI secolo. I superstiti salvati furono 155, tra cui 41 minori.  A seguito della tragedia, su spinta del Comitato 3 ottobre, è stata istituita la Giornata della memoria delle vittime della migrazione.

La dinamica del naufragio

L’imbarcazione naufragata era un peschereccio lungo circa 66 piedi (20 metri), salpato dal porto libico di Misurata il 1º ottobre 2013 con a bordo migranti di origine eritrea ed etiope. La barca era giunta a circa mezzo miglio dalle coste lampedusane quando i motori si bloccarono, poco lontano dall’Isola dei Conigli.

Per attirare l’attenzione delle navi che passavano, l’assistente del capitano agitò uno straccio infuocato producendo molto fumo. Parte dei passeggeri si impaurirono temendo un incendio e si spostarono improvvisamente da un lato dell’imbarcazione stracolma, che si rovesciò. La barca ha girato su se stessa tre volte e poi è colata a picco. Alle 7:00 circa locali alcune imbarcazioni civili e pescherecci locali hanno notato i naufraghi e dato l’allarme caricando la maggior parte dei superstiti a bordo.

Ancora morti nel Mediterraneo: 27mila in 10 anni

Oggi l’Italia rinnova la memoria di quelle vittime che tanto fecero scalpore nell’opinione pubblica. “Mai più” furono le parole della società civile ed istituzionale dinanzi alle centinaia di casse da morto – quattro delle quali bianche –  radunate nel palazzetto di Lampedusa.

Eppure, in questi 10 anni, sono morte altre 27mila persone nel disperato tentativo di attraversare il Mediterraneo verso quel sogno – di libertà, riscatto, speranza – chiamato Europa. Da quella tragedia – per non dimenticare e per dare un nome certo alle vittime del mare – è nato il Comitato 3 ottobre.

Per la Giornata della memoria delle vittime della migrazione, Interris.it ha intervistato il presidente del Comitato 3 ottobre, il dottor Tareke Brhane, in merito al decennale del naufragio di Lampedusa.

Il presidente del Comitato 3 ottobre, il dottor Tareke Brhane. Foto: Comitato 3 ottobre

L’intervista a Brhane del Comitato 3 ottobre

Dott. Brhane, perché ha fondato il “Comitato 3 ottobre” e qual è la vostra mission?

“Sono nato in Eritrea, dove studiavo e lavoravo per mantenere mia madre. La
maggior parte della mia vita l’ho passata tra un campo rifugiati e l’altro in Sudan, dove poi mia mamma è venuta a mancare. Ho deciso di lasciare l’Eritrea, il mio Paese d’origine, non per un vezzo o per la voglia di viaggiare, ma perché per me era impossibile rimanere lì: il servizio militare è a vita e i soprusi e le intimidazioni sono infinite. Lasciare il mio Paese non è stata una scelta facile e i rischi che ho affrontato sono stati numerosi. Ho vissuto per quattro anni tra il Sudan e la Libia, sono stato incarcerato nelle prigioni di Gheddafi, ho attraversato il Mediterraneo e sono stato respinto più volte. Alle fine del 2005, finalmente, sono riuscito ad approdare in Sicilia, a Lampedusa. Da allora ho speso la mia vita per aiutare chi, come me, fugge da situazioni indicibili e sbarca sulle nostre coste. Il mio desiderio più grande è stato ed è tuttora la voglia di  creare un cambiamento nella società e nelle Istituzioni attraverso una narrazione fatta di esempi positivi. Non ho mai voluto utilizzare toni di rancore o di odio, ma sempre di dialogo, di mediazione, di pace. Non ho mai voluto accusare, ma ho sempre in prima persona e insieme al Comitato 3 ottobre desiderato tenere i ‘fari accesi sui problemi’, contribuendo a individuare cause, responsabilità e possibili soluzioni. Il mio primo obiettivo è la difesa della libertà, dei diritti e dei valori umani perché io stesso sono un testimone sopravvissuto al deserto, alle prigioni libiche, al mare Mediterraneo e come cittadino italiano ed europeo non posso girarmi dall’altra parte. Sono questi i valori e gli ideali che mi hanno portato a promuovere, in prima persona e come Comitato 3 ottobre, la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza, la banca dati del DNA per il riconoscimento delle vittime dei naufragi, l’apertura dell’unico museo italiano sulle migrazioni a Lampedusa. L’iter è stato ed è lungo e faticoso, ma dopo 18 anni dal mio arrivo in Italia, sono orgoglioso di essere riuscito a creare un network internazionale di studenti europei, facendo del dialogo, della memoria, dell’accoglienza il filo conduttore del mio agire. L’idea del Comitato 3 ottobre è quella di rendere protagonisti diretti delle attività di sensibilizzazione i richiedenti asilo, i rifugiati, le persone sopravvissute. Il mio e il nostro intento è di restituire voce alle storie di chi normalmente non ha voce: costruendo una cultura dell’accoglienza e dell’inclusione. La nostra mission è anche parlare agli studenti; non solo e non tanto attraverso le parole di studiosi e giornalisti, ma attraverso la testimonianza diretta di centinaia di rifugiati, spesso sopravvissuti alle tante rotte che attraversano l’Europa. Un lavoro che svolgiamo per creare una ‘memoria delle migrazioni. Un percorso spesso liberatorio e catartico che ha permesso a molti, e sicuramente a me per primo, di passare da ‘vittima’ della Storia a cittadino attivo. Non ho mai amato né il racconto del dolore né la ‘retorica delle ricorrenze’, ma sono convinto che ‘ricordare e testimoniare’ sia un doveroso tributo alla memoria delle vittime, al doloroso ricordo delle persone sopravvissute e dei loro familiari. Perché i morti dell’immigrazione, nel corso di questi dieci anni, sono stati spesso dimenticati, smarriti nelle notizie di cronaca e nella conta del numero dei morti. Però è sempre bene ricordare che dietro ogni numero c’è una storia, c’è una persona, ci sono affetti, desideri e aspettative che non si potranno più realizzare”.

Foto: Comitato 3 ottobre

Qual è l’importanza dell’esistenza di una giornata dedicata alla memoria e all’accoglienza?

“I morti dell’immigrazione, nel corso di questi dieci anni, sono stati spesso dimenticati, smarriti nelle notizie di cronaca e nella conta del numero dei morti. Pensiamo che questa tragedia vada rievocata, ricordata e raccontata perché la nostra convivenza civile si nutre di valori, di testimonianze, di esempi. Memorie che possano servire alle giovani generazioni a comprendere realmente il fenomeno migratorio. Abbiamo chiesto e continueremo a chiedere l’istituzione di una Giornata europea della Memoria e dell’Accoglienza. Perché i morti dell’immigrazione non sono ‘solo morti italiani’, ma sono morti dell’Europa. Sono i morti del Mediterraneo, ma anche quelli che hanno perso la vita lungo la rotta atlantica e balcanica, nel Canale della Manica e lungo i confini fra Polonia e Bielorussia”.

Come la tragedia di Lampedusa del 2013 ha modificato l’opinione pubblica sui migranti in questi 10 anni?

“Non credo di essere la persona più adatta per poter rispondere a questa domanda. Bisognerebbe chiederlo a un esperto di comunicazione. Sicuramente, ‘mai più’ fu la promessa di istituzioni italiane e europee. Sono passati dieci anni da questi due naufragi. Dieci anni in cui sono morte altre 27 mila persone nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. E come uomo, come Presidente del Comitato 3 ottobre, continuo a farmi e vorrei che ve la faceste anche voi questa domanda: come è possibile che ancora oggi si verifichino naufragi con centinaia di morti, con rimpalli di responsabilità e promesse quasi sempre disattese? Come è possibile che la commozione di dieci anni fa si sia trasformata in indifferenza verso chi fugge da guerre e persecuzioni? Come è possibile che l’Operazione Mare Nostrum sia stata archiviata, e Italia e istituzioni europee abbiano cercato solo di stipulare patti con il diavolo, pagando signori della guerra e capi di Stato/dittatori, perché ‘si tenessero’ i profughi? In questi dieci anni è successo di tutto ma solo una cosa non è cambiata: che ogni giorno nel Mediterraneo qualcuno muore”.

Raccogliete le storie dei sopravvissuti ai naufragi: quali di queste l’hanno toccata maggiormente?

“Sono tutte tragiche, non ce ne è una che mi ha colpito più delle altre. Ad esempio, quest’anno a Lampedusa ci sarà Wahid Yousef, curdo siriano sessantunenne, cardiochirurgo e già direttore del reparto di Pneumologia in un ospedale della Libia, nel naufragio dell’11 ottobre ha perso quattro figlie: Randa, Sherihan, Nurhan, Christina di 10, 8, 5 e mezzo e quasi 2 anni. Bambine i cui corpi, dopo il naufragio, non sono stati mai trovati. Dopo il naufragio è stato, per  7 anni, come rifugiato politico, in Svizzera. Da 2 anni, insieme alla moglie (Manal Hashash) anch’essa sopravvissuta e con le due figlie (Yara e Maria) nate successivamente, vive a Dussemburg in Germania dove studia il tedesco e spera di poter tornare a lavorare in reparto. Wahid insieme al medico Jammo Mohanad e Hashash Manal furono tra le persone sopravvissute al naufragio che presentarono un esposto alla Procura della Repubblica di Agrigento da cui poi prese avvio il procedimento penale per il naufragio. Procedimento penale che vedeva tra gli imputati Leopoldo Manna, comandante responsabile della sala operativa della Guardia Costiera e Luca Licciardi, capo della sala operativa della squadra navale della Marina Militare. Procedimento che si è concluso nel dicembre 2022 con un ‘non doversi procedere perché i reati sono estinti per intervenuta prescrizione'”.

Moltissime vittime nel corso degli anni non sono state riconosciute. Cosa propone il vostro comitato?

“Il problema dell’identificazione delle vittime non è di poco conto, non solo perché stiamo parlando di esseri umani che hanno perso la loro vita, ma anche a causa delle famiglie e delle persone che continuano ad aspettare una chiusura emotiva che non arriva. La mancata identificazione ha effetti di portata enorme non solo sul benessere psicologico dei familiari, ma anche ineludibili ripercussioni dal punto di vista burocratico. Prima di tutto è importante compiere ogni sforzo possibile per identificare i cadaveri in ossequio alla dignità dei defunti e delle loro famiglie. Un diritto sancito e tutelato da plurimi contesti normativi. In assenza di identificazione certa non può essere prodotto, ad esempio, il certificato di morte, un documento fondamentale per aspetti civilistici ed amministrativi. Tra questi, l’impossibilità per un orfano di fruire della possibilità di essere ricongiunto con i familiari ancora in vita. Ma è davvero impossibile identificare le vittime dei naufragi? E’ complesso, ma è possibile. In assenza di un protocollo specifico si può utilizzare il protocollo DVI (Disaster Victim Identification) dell’ Interpol, che prevede: rilievi fotografici, repertazione degli indumenti ed effetti personali, prelievo campione DNA, prelievo campione capelli e laddove possibile esame autoptico e odontologico. Un protocollo che viene già utilizzato in caso, ad esempio, di incidenti aerei o di catastrofi naturali (come accadde per lo Tsunami). Come Comitato 3 ottobre ci battiamo per istituire o, per le nazioni ove già esiste, di implementare un database che raccolga tutte le informazioni sui cadaveri senza nome. Chiediamo che venga istituito in ogni nazione almeno un hub dove le famiglie delle persone migranti scomparse possano essere intervistate e i dati ante mortem possano essere catalogati. Chiediamo che venga incaricato un soggetto unico europeo per le persone scomparse al fine di incrociare i dati sui migranti scomparsi e quelli dei Cadaveri senza Nome raccolti dalle diverse agenzie nazionali. L’Italia ha dimostrato che tutto ciò è possibile, ma ancora una volta vediamo come tutto ciò non sia una priorità. Alla fine, però, il trattamento che riserviamo ai morti dell’immigrazione non è altro che l’altra faccia della medaglia: una medaglia che parla della mancanza di rispetto con cui li consideriamo o meglio li considerano anche da vivi”.

Quali iniziative mette in campo il Comitato per il decimo anno dalla tragedia?

“In occasione dell’evento ‘A Europe of Rights‘ che si conclude oggi a Lampedusa, abbiamo lanciato una petizione per chiedere l’istituzione di una banca dati europea del DNA. E’ possibile firmarla a questo link. Come Comitato 3 ottobre continueremo a realizzare programmi educativi per infondere la memoria di ciò che è accaduto nelle generazioni future e impedire che continui a ripetersi, attraverso una società che accoglie e include. Continueremo a non dimenticare, perché se lo facessimo e come se accettassimo ciò che è accaduto. Continueremo a non essere indifferenti e a indignarci per ciò che succede. E continueremo a chiedere di ‘non lasciar correre’. E lo faremo soprattutto con i giovani. Non daremo soluzioni, ma continueremo a fornirvi strumenti per interpretare ciò che accade. Il nostro più grande obiettivo è che cerchiate sempre di capire cosa accade intorno a voi. Di non lasciar correre, solo perché magari pensate che non vi riguardi, solo perché non vi tocca in prima persona. Vi chiederemo, sempre, di non essere indifferenti”.