La prigione dell’ansia

Preoccuparsi, deriva da prae-occupare, in latino; occuparsi prima, precedentemente, di qualcosa. In qualche modo è sinonimo di prevenire. Cioè agire in modo da non far accadere qualche guaio.

In Italia, che pure è figlia del latino, non intendiamo però così il temine, piuttosto per noi ha una valenza soprattutto negativa; il verbo preoccuparsi, suggerisce “avere timore di”, uno si occupa spesso in anticipo di qualcosa che lo rende ansioso.

In realtà il prefisso “prae” in latino non significa soltanto prima, ma anche “a causa di/per”. E forse è su questo che vale la pena riflettere. L’uomo ha bisogno di preoccuparsi, ovvero di tenere impegnata la mente con problemi, magari per non guardare altrove e vedere più in là.

Lo sanno bene i potenti che utilizzano le strategie di distrazione di massa, quella di creare un diversivo per evitare di far concentrare il popolo sui veri problemi di gestione. A volte accade in maniera non pilotata, soprattutto con notizie positive (la vittoria di Bartali nel ’48 arrivata dopo l’omicidio di Togliatti, ad esempio, salvò il Paese dalla guerra civile); più spesso, e più strumentalmente, lo si fa con notizie negative: pandemie, spread, ecc. che settano le discussioni pubbliche su temi diversi dall’analisi della gestione quotidiana del Paese.

Finché ci preoccupiamo, nel senso ansiogeno del termine, non saremo capaci di gestire le sorti del nostro vivere. Piuttosto dovremmo fare un esercizio linguistico, cambiando l’ordine delle lettere e provando a leggerla così: per occuparsi. Ecco che cambiano molte cose.
Perché molto spesso la lamentela va a braccetto con l’inerzia, preoccuparsi spinge alla prudenza e dunque all’immobilità. Principio devastante soprattutto in economia.

Così mentre ci preoccupiamo evitiamo di applicare energie su questioni invece sostanziali per la vita di ognuno di noi, che richiederebbero di agire e in modo radicale. L’uomo si crea i problemi, ne ha bisogno per non far venire a galla tutto il resto.

Se è vero a livello personale, lo è ancor più a livello di comunità. Sollevare il velo dell’ipocrisia e iniziare ad agire è il primo passo per riprendere davvero in mano le redini della nostra vita.