Terremoto del Centro Italia: viaggio nella ricostruzione che non c'è

Oggi è il giorno della memoria. L'Italia si stringe intorno ai familiari delle vittime e a quanti hanno perso affetti, casa, lavoto in seguito al drammatico terremoto di tre anni fa per non dimenticare. Gli eventi sismici del Centro Italia del 2016 e 2017, definiti dall'Ingv sequenza sismica Amatrice-Norcia-Visso, hanno avuto inizio nell'agosto 2016 con epicentri situati tra l'alta valle del Tronto, i Monti Sibillini, i Monti della Laga e i Monti dell'Alto Aterno. La prima forte scossa si è avuta il 24 agosto 2016, alle ore 3:36 e ha avuto una magnitudo di 6.0, con epicentro situato lungo la Valle del Tronto, tra i comuni di Accumoli (RI) e Arquata del Tronto (AP). Due potenti repliche sono avvenute il 26 ottobre 2016 con epicentri al confine umbro-marchigiano, tra i comuni della provincia di Macerata di Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera (la prima scossa alle 19:11 con magnitudo 5.4 e la seconda alle 21:18 con magnitudo 5.9). Il 30 ottobre 2016 è stata registrata la scossa più forte, di magnitudo momento 6.5 con epicentro tra i comuni di Norcia e Preci, in provincia di Perugia. Il 18 gennaio 2017 è avvenuta una nuova sequenza di quattro forti scosse di magnitudo superiore a 5, con massima pari a 5.5 ed epicentri localizzati tra i comuni aquilani di Montereale, Capitignano e Cagnano Amiterno. Questo insieme di eventi provocò in tutto circa 41.000 sfollati, 388 feriti e 303 morti, dei quali 3 morirono per “via indiretta”, a causa di un infarto provocato dallo spavento. 

Insieme al dolore, ancora vivo, per il prezzo altissimo pagato in termini di vite umane, i piccoli borghi del Centro d'Italia, un tempo segnalati tra i più belli del Paese, attendono una ricostruzione che tarda a decollare. Sono 140 i Comuni di 4 Regioni compresi nel cosidetto “cratere sismico” (le zone colpite e danneggiate dal sisma) a cui spettanno gli aiuti ed i rimborsi previsti dal decreto legge terremoto. Dieci le provincie interessate: Rieti nel Lazio, Aquila, Pescara e Teramo in Abruzzo, Perugia e Terni in Umbria, Ancona, Ascoli Piceno, Fermo e Macerata nelle Marche. La fase di progettazione per la ricostruzione di quasi 80 interventi per scuole, ospedale, opere di urbanizzazione, dissesti, chiese, caserme e municipi ammonta a circa 120 milioni di euro. Papa Francesco in visita ad Amatrice sollecitò lo Stato a non fermarsi ma a velocizzare il lavoro di ricostruzione vista la modalità di vita dei pochi abitanti di quelle terre.

Amatrice e Accumoli celebrano oggi la memoria in ricordo delle vittime locali: 249 solo ad Amatrice, altre 11 ad Accumuli. Nello storico paese dell’amatriciana la Santa Messa, aperta a tutti, è celebrata  (in diretta su Rai Uno) a partire alle 11 al Palazzetto dello Sport dal Vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili. Accumoli ricorda le sue 11 vittime con una veglia nella frazione di Illica e con una messa celebrata sempre da Monsignor Pompili. Il vescovo di Rieti è da sempre attivo nella ricostruzione e nello stare vicino alla popolazione colpita dal terremoto. Solo pochi giorni fa durante il secondo forum delle Comunità Laudato si’, ricordava Amatrice quale “simbolo di una ferita che tarda a rimarginarsi per la lentezza esasperante della macchina statale, per la mancata assunzione di responsabilità di tanti, per la pervasiva smobilitazione del tessuto sociale”. E dunque le Comunità Laudato si’ “nascono tenendo fisso lo sguardo su questo lembo di Appennino che rischia di essere dimenticato, ma è pur sempre la spina dorsale dell’Italia”.

Il commento del vescovo Pompili

A In Terris il vescovo Pompili ha rilasciato un commento personale che ben inquadra la situazione nella sua diocesi. “Sono il disincanto e il senso di precarietà a caratterizzare lo stato d’animo della popolazione di Amatrice, Accumoli e degli altri centri terremotati della diocesi di Rieti – esordisce l'alto prelato -. A tre anni dal sisma, Amatrice è una tabula rasa in attesa che i fatti seguano le parole. Il nostro è un Paese veloce ed efficiente nelle emergenze, ma si sta dimostrando lento e impreparato nelle fasi successive. Troppo spesso la burocrazia e le procedure, invece di essere una garanzia, finiscono per essere un inciampo. Le filiere lunghe favoriscono la dispersione delle responsabilità proprio quando ci vorrebbe un’assunzione di responsabilità da parte di tutti. I luoghi del centro Italia richiedono una risposta concreta: sarebbe di aiuto anche per curare tante vite ferite, la cui sofferenza non è certo scomparsa. Il dolore resta sottotraccia, per questo parliamo di rigenerazione più che di ricostruzione: le persone hanno bisogno di essere ascoltate, accompagnate e coinvolte in modo responsabile. La nostra Chiesa sta cercando di tenere unite comunità che peraltro si sono enormemente ridotte: la socializzazione aiuta a ritrovare fiducia e a non lasciarsi sopraffare dalla lamentela. E aiuta pure a non attendere le cose dall’alto, a evitare lo scoramento, a impegnarsi per trovare un filo di speranza. Come diocesi siamo anche impegnati in un ampio progetto di ricostruzione materiale per rimettere in piedi le 70 chiese reatine danneggiate dal sisma. Attualmente, sono stati completati 40 interventi, altri 15 sono in progettazione, 5 in esecuzione e 10 in fase di inizio lavori. Oltre ad aver preso in carico la cura della maggior parte delle chiese danneggiate dal sisma e aver contribuito alla messa in sicurezza dei beni culturali, ci stiamo concentrando sulla “Casa del Futuro” da realizzare in quella che era l’area dell’Istituto “Don Minozzi”. Sarà un complesso di 18.000 metri quadrati utile per l’accoglienza, per la promozione di arti e mestieri, per ospitare il museo, per un centro studi ambientali nella prospettiva della Laudato si’, e per alcuni servizi pubblici. Vogliamo fornire alle persone e ai giovani occasioni di crescita umana e spirituale. Ed è importante per la gente vedere la ricostruzione di qualcosa di importante. Sarà un modo concreto per dire che si può tornare a credere nel futuro”.

La Manifestazione

I tempi biblici della ricostruzione stanno esasperando i tanti che si sono dovuti spostare sulla costa in attesa di una casa nuova, ma anche quelli che hanno scelto di rimanere e vivono nei moduli abittivi. Lo scorso 18 maggio a Roma il “Coordinamento dei Comitati Terremoto del Centro Italia dell'agosto 2016” è sceso in piazza (prima con un raduno in piazza del Popolo e poi con una manifestazione in piazza Montecitorio sotto il coordinamento dei Comitati terremoto Centro Italia) al grido di “stop passerelle e selfie”. “Da quasi tre anni – testimoniarono gli organizzatori della protesta su Ansa – assistiamo a passerelle politiche sulle macerie delle nostre case. Alle promesse ricevute è seguito un immobilismo che congela le vite” dei terremotati. Il Comitato, aggiungevano i promotori, ha partecipato “a tavoli con i governi e i commissari straordinari” e “consegnato decine di proposte ed emendamenti che non sono stati recepiti da nessuno dei tre governi succeduti dal 24 agosto 2016” anche quando si trattava di “proposte di buon senso, realizzabili, argomentate e sostenute da dati scientifici”.

L'intervento

“In questi 3 anni – approfondisce per In terris Francesco Pastorella, figura chiave del Comitato – sono stati faticosamente costruiti dei centri commerciali e dei ristoranti, come l'area food ad Amatrice e a Castelluccio, ma con un errore gravissimo: non si è pensato a come alimentare il flusso turistico che dovrebbe 'sostenere' questi operatori. Mi spiego meglio: il 70% del fatturato di ristoranti, artigiani, alimentari, giornalai etc etc è stato da sempre rappresentato dalle seconde case dei romani che il fine settimana, Natale, Pasqua e soprattutto l’estate, tornavano non in una seconda casa qualunque, ma nella casa dei genitori, dei nonni, degli affetti insomma, una casa che ti senti dentro più di quella che sei 'costretto' a vivere di inverno…. Per i non residenti però non si è pensato ad approntare degli alloggi; solo adesso qualcosa ad Amatrice grazie alla legge Pirozzi, ma nulla nel resto del cratere. Da qui la mancanza di fatturato e la chiusura di migliaia di attività: sono stati persi 12000 posti di lavoro in tutto il cratere (come riporta anche la Cgil) e non rileviamo alcuna azione atta a recuperarli. La ricostruzione delle nostre terre potrebbe essere una grandissima opportunità per i lavoratori, ma bisognerebbe, da subito, regolamentare i flussi onde evitare infiltrazioni mafiose, già presentatesi nei precedenti terremoti”. Per far ripartire l'economia, aggiunge Pastorella, “abbiamo chiesto a tutti i governi che si sono alternati, di inserire una sorta di priorità o quantomeno sgravi fiscali per le aziende che avrebbero assunto terremotati. Le risposte sono state sempre interessate e positive, ma, ad oggi, nessuna azione concreta è stata mossa e nessun governo ha riportato nero su bianco ciò che ci avevano promesso”. “Dopo tre anni, le opere che sono state portate a termine sono state realizzate per il 95% da privati. Se oggi c’è qualcosa in piedi, lo dobbiamo al buon cuore degli italiani, traditi – è il j'accuse di Pastorella – dall’utilizzo nefasto dei fondi donati con gli sms solidali e destinati a progetti non inerenti, come oò rifacimento di statali lontano dal cratere, grotte sudatorie chiuse da 30 anni, scuole ubicate fuori dal cratere”. “Abbiamo la certezza che i politici (di qualunque schieramento facciano parte) considerano i terremotati come un bancomat per realizzare progetti che avevano nel cassetto ma non direttamente necessi a ripristinare le condizioni essenziali di vita dei nostri territori”, conclude Pastorella. Dinanzi al silenzio delle istituzioni, il “Coordinamento dei Comitati Terremoto del Centro Italia dell'agosto 2016” avanza tre richieste ben precise: “ricostruzione veloce, partecipata, democratica”, “lavoro, redditi e dignità” per i terremotati e, infine, “trasparenza nella gestione dei fondi pubblici”. Finora, però, poco si è mosso.

Tecnici in sciopero

Il problema della ricostruzione passa anche attraverso una burocrazia troppo faraginosa, che non permette a chi dovrebbe ricostruire di poter svolgere correttamente (e celermente) il proprio lavoro. Lo scorso luglio Inarsind Marche, il Sindacato Ingegneri e Architetti, ha paventato la possibilità di uno sciopero generale: “O si cambia o ci fermiamo” dicono dal sindacato. “A quasi 3 anni dalla prima scossa – si legge in una nota di Inasird – pochi progetti presentati, oltre 1400 pagine di ordinanze non ufficilmente coordinate, tanti doveri che pesano completamente sulle spalle dei tecnici, parcelle ai limiti dello sfruttamento per bassi importi di lavoro, tempi e modalità di pagamenti assurdi. Tutto questo impedisce ai tecnico di operare nel modo migliore”, conclude la nota. “Un diretto ultimatum alla politica, non verranno più presentati i progetti, uno sciopero bianco tecnico, necessario a stimolare le dovute azioni di rettifica normative”, commenta l'Arch. Paolo Capriotti a nome del Inarsind. “Infatti dopo tante promesse, a 3 anni dalla prima scossa, sono state scritte oltre mille pagine di ordinanze che impongono tanti doveri e responsabilità ai tecnici a cui non corrispondono adeguati compensi ed efficienti sistemi di pagamento, così con i progetti di ricostruzione si rischia ogni volta di andare in perdita“.

La testimonianza

Per comprendere il punto di vista di chi vive questa tragedia nella quotidianità, In Terris ha chiesto un commento a un testimone d'eccezione, Mons. Nello Tranzocchi, vicario generale dell'arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche e parroco di Pieve Torina, il paese dei Monti Sibillini affacciato sulla statale che porta a Visso, l’epicentro del terremoto del 26 ottobre. In tutto, prima del sisma, Pieve Torina aveva circa 1450 abitanti. Oggi, con il 90 per cento delle case lesionate in modo così grave da dover essere abbattute, la popolazione è ridotta a poche decine. Tra questi, non manca il pastore del gregge, mons. Tranzocchi. “Il terremoto? Ormai sono passati tre anni, bisogna che ne viene uno più forte, sennò che gusto c’è?”; esordisce ironicamente don Nello. “La ricostruzione a Pieve Torina e dintorni è a zero. Per ora è stata fatta solo qualche messa in sicurezza, qualche demolizione, soluzioni di emergenza per le scuole…ma niente è stato ricostruito. I paesani sono quasi tutti andati verso la costa, mentre qui sono rimasti solo gli anziani che alloggiano nelle Sae, le casette di legno. Anche io ho lasciato la canonica: tutte e sei le parrocchie che seguo sono rimaste lesionate e sono inagibili. Qui ci sono in tutto 46 chiese lesionate. Di queste, solo una è stata ricostruita, a Montecavallo, ma non possiamo usarla perché le case intorno sono pericolanti perciò non possiamo entrarci dentro. Noi celebriamo le Sante Messe in una costruzione donata dalla Caritas, un centro aggregazione polivalente. E a noi, nella sfortuna, è andata bene. In altre parrocchie, come a Ussita, hanno solo una stanza dove si fa tutto, dai seggi elettorali, alle celebrazioni, alle riunioni comunali e così via. Il settore turistico è tutto fermo, a Ussita gli impianti di risalita delle piste da sci sono ancora fermi perché la ricostruzione non è ripartita. Come l’umore delle persone, che è intriso di sfiducia, perché qui i “grandi” arrivano, promettono e poi spariscono. I cittadini si sentono trascurati e questo avviene perché sono pochi, i paesi colpiti dal terremoto sono quasi spopolati. Noi cerchiamo di reagire a questa situazione di sfacelo, ma non è facile farlo da soli. La gente dice: 'la politica non si interessa di noi perché siamo pochi e non portiamo voti; dove c’è tanta gente bisognosa – come accaduto a Genova col crollo del Ponte Morandi – fanno tutto velocemente perché devono spartirsi migliaia di voti'. Questo dice la gente”. “A noi, che siamo pochi e vecchi, chi ci pensa?”, conclude mestamente don Nello che, da quel 24 agosto di tre anni fa, ancora attende un segnale di rinascita.