BRASILE CHOC… L’ALTRA FACCIA DELLE OLIMPIADI

È sulle pagine dei giornali di tutto il mondo perché ospita i Giochi Olimpici; abbaglia con i suoi colori, il ritmo della sua musica, le bellezze mozzafiato della sua terra. Eppure ci sono ombre nerissime appena al di là dei riflettori. Parliamo del Brasile, che oltre a fare i conti con le favelas e la diversità sociale, dove registrare un altro record negativo: secondo l’ultimo rapporto del Forum Brasiliano di Sicurezza si registra uno stupro ogni 11 minuti. E si tratta solo dei casi denunciati.

Isadora Dos Santos, direttrice di un coordinamento di cooperative che promuove l’economia solidale, Unisol, ha raccontato le conseguenze quotidiane di una cultura nazionale particolarmente machista che colpevolizza forse più che altrove le vittime degli abusi. “È di poco tempo fa la notizia che 33 persone hanno violentata a Rio de Janeiro una 16enne e poi hanno pubblicato il video sul web. La ragazza era la fidanzata di un narcotrafficante della “favela” Morro da Barao a Jacarepagua. Una delle zone degradate nella zona ovest di Rio de Janeiro.

“Il Parlamento intanto – spiega Isadora – ha appena approvato una legge che rende più difficile denunciare uno stupro”. Fin qui le dichiarazioni di Isadora e la stretta cronaca di cosa accade nel Parlamento brasiliano, anche se ci corre l’obbligo di precisare che qualunque tipo di interruzione della vita non può trovarci d’accordo, quale che ne sia la causa. Resta l’orrore per una “pratica”, quella degli stupri, che deve essere estirpata.

“La società brasiliana è molto tradizionale e le stesse pratiche quotidiane sono maschiliste, come accade in molti altri Paesi del mondo” commenta Isadora. Questa consapevolezza relativa alla violenza è condivisa non solo da Isadora ma da moltissime donne che nell’ultimo periodo sono scese in piazza per protestare contro gli stupri e i femminicidi in Brasile, considerati una conseguenza di una radicata cultura sessista che incoraggia la disumanizzazione e la violenza contro le donne. Queste proteste sono state definite dalla stampa una “primavera femminista”, ma siamo ancora ben lontani da una reale coscienza collettiva.

Brasile terra di orchi? Non proprio. Prima di gettare la croce su un intero popolo, vale la pena fare uno screening planetario per capire cosa accade altrove. Un sondaggio della Thomson Reuters – ad esempio – definisce l’India il quarto Paese al mondo più pericoloso per le donne e il peggiore del G20. A qualificare l’India in questo modo così cupo non sono solo gli stupri ma tutto un quadro di violente discriminazioni di genere che trovano le forze di polizia compartecipi e la magistratura troppo spesso tollerante. Si stima che più di due milioni di donne manchino alla conta ogni anno, iniziando dall’utero con la piaga degli aborti selettivi, per continuare con l’infanticidio femminile, le discriminazioni nelle cure mediche. Poi occorre considerare i matrimoni precoci e le gravidanze adolescenziali. Infine il quadro delle violenze non può dimenticare la subordinazione tradizionale della dignità della donna al suo essere moglie e soprattutto madre (specie se di maschi) e le aggressioni con l’acido.

Inevitabile dunque pensare al Brasile o all’India come “fogne morali”, dato che le cronache ci raccontano atti orribili. Ma sono davvero questi i Paesi i peggiori? Questo tipo di classifiche sono molto “volatili”, cambiano di anno in anno a seconda di chi le fa e dei mutamenti nei vari Paesi. Detto questo per correttezza, non possiamo non notare che nell’ultima “globale” dei primi 25 Paesi al mondo (con riscontri incrociati tra varie fonti) per incidenza di stupri, troviamo delle sorprese che mai ci saremmo aspettati. Al terzo posto la Svezia, al settimo l’Australia, all’ottavo il Belgio. Al nono gli Usa, al quindicesimo la Norvegia. 17esimo Finlandia 21esimo Irlanda. Persino la Germania, fulcro dell’Europa, è nei primi 25. Rio ora – con tutti i suoi problemi – ospiterà atleti di ogni Nazione, ma è chiaro che nessuna può ergersi a moralizzatrice di un’altra. I numeri che abbiamo descritto portano con sé storie, drammi e riflessioni. Conoscere, prima di giudicare. E poi agire culturalmente contro la violenza, in ogni angolo del mondo… partendo da casa nostra.

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