ADOZIONI INTERNAZIONALI, UN ATTO D’AMORE

Adozioni

Avere un figlio adottivo significa aprire all’interno del proprio nucleo familiare uno spazio che è prima di tutto accoglienza particolare, visto che il bambino viene da lontane realtà, generato da altri, con una sua storia, con il suo bisogno di continuarla con dei nuovi genitori, che gli offriranno una nuova prospettiva di vita. E’ un percorso articolato ma che può rivelarsi un viaggio dinamico sotto molti profili. L’adozione internazionale consente di accogliere a far parte integrante della propria famiglia minori di altri Paesi, con cultura, lingua e tradizioni diverse. Un’esperienza che presenta diversi ostacoli da superare, come la disarmante burocrazia esistente in alcuni Stati. Ne abbiamo parlato con Luisa Capponcini, già esperta della Commissione per le Adozioni Internazionali.

Capponcini, cosa spinge una coppia ad adottare un bambino straniero?
“Si adottano minori provenienti da Stati stranieri perché il numero delle domande delle aspiranti famiglie adottive è superiore a quello dei bambini in Stato di abbandono, e quindi adottabili, di nazionalità italiana”.

Perché sta diventando sempre più difficile ricorrere all’adozione internazionale?
“La situazione economica esistente all’interno di diversi Paesi stranieri sta mediamente migliorando, rispetto ad alcuni decenni fa. Le Autorità estere, pertanto, privilegiano l’adozione nazionale, cercando di mantenere all’interno dei propri confini i bambini da dare in adozione, anche perché uno dei principi fondamentali della Convenzione dell’Aja del 1993, ratificata in Italia con la legge 476/98, considera l’adozione internazionale una estrema ratio”.

Gli enti autorizzati e numerose associazioni familiari lamentano una paralisi del sistema, a cosa è dovuto?
“La crisi economica italiana di questi ultimi anni ha determinato una flessione del numero delle aspiranti coppie adottive, poiché le adozioni internazionali hanno un costo elevato che a volte i cittadini italiani non possono permettersi. Del resto, gli enti autorizzati, non a scopo di lucro, devono comunque sostenere delle spese, con riferimento al personale specializzato, alle sedi in Italia e all’estero, al costo del viaggio e della permanenza della coppia nel Paese straniero che spesso richiede tempi lunghi, fino a 45 giorni, come il Brasile”.

La lungaggine burocratica scoraggia i possibili genitori, questo può portare a utilizzare canali illegali?
“No, assolutamente. L’iter per le adozioni, nazionali e internazionali, è ormai definito con chiarezza. Non è pertanto possibile introdurre nel nostro Paese minori illegalmente. È impensabile”.

Purtroppo capita che i bambini non siano completamente sani, i genitori adottivi sono a conoscenza delle condizioni di salute?
“I Paesi stranieri, ed in particolare, le strutture dove sono ospitati i minori in stato di adottabilità hanno l’obbligo di fornire tutti i dati concernenti i bambini, compresi quelli sul loro stato di salute. Gli Enti autorizzati in Italia richiedono le cartelle cliniche e ne danno comunicazione agli aspiranti genitori. E’ più frequente, rispetto ad anni addietro, che i minori dati in adozione internazionale, abbiano qualche disturbo o malattia, perlopiù curabili, ma i familiari ne devono avere consapevolezza”.

Quando il bambino entra nella nuova famiglia vengono effettuati controlli da parte dei servizi sociali?
“La legge prevede che il minore, giunto in Italia e collocato (a titolo di affidamento preadottivo della durata di un anno o di adozione) presso la famiglia adottiva, sia seguito dai Servizi sociali. E’ tutto il nucleo familiare che può essere supportato e monitorato. Infatti, più che al ‘controllo’, è corretto fare riferimento al sostegno. Questo può essere necessario perché i genitori, soprattutto nel primo periodo, hanno la necessità di avere un valido riferimento nei Servizi, sia alle Autorità straniere, che richiedono spesso relazioni, anche semestrali, per avere la conferma che i minori siano stati abbinati ad una coppia genitoriale con risorse e competenze”.

Ci sono famiglie che adottano un bambino straniero e successivamente ci ripensano?
“Purtroppo ci sono casi di fallimenti adottivi e questi sono anche in crescita. A mio parere, le ragioni sono diverse. Vengono dati in adozione internazionale bambini sempre più grandicelli, con un vissuto di sofferenza più lungo nel tempo e quindi profondo. A volte, l’aspirante coppia adottiva si trova impreparata e sottovaluta le esigenze del figlio, che non è quello reale, ma rimane quello idealizzato, nel suo “bisogno” di avere a tutti i costi un bambino. Oggi la legge mette al centro il soddisfacimento dell’interesse superiore del minore ad avere dei genitori, e non quello della coppia ad esaudire il suo desiderio di maternità e paternità”.

In caso di ripensamento lo Stato tutela il minore o lo rimanda nel Paese di origine?
“Se non c’è una dichiarazione di sospensione o decadenza, da parte del Tribunale per i Minorenni, dalla responsabilità genitoriale nei confronti del figlio, con la nomina di un Tutore, ma si rinviene una condotta irregolare e deviante del ragazzo, non ascrivile ad una inadeguatezza dei genitori, si può ricorrere all’affidamento del minore ai Servizi sociali e al suo invio in una struttura educativa o riabilitativa, anche fino al compimento del 21° anno di età”.