DISABILI, COME PROTEGGERSI DAGLI ABILI

Proseguono le indagini sulla brutale aggressione subita da Luca Isoni, 37 enne disabile malmenato davanti a una discoteca di San Teodoro, nota località turistica sarda. A picchiarlo è stato un 27enne di Sassari con precedenti specifici, individuato e denunciato. Ma per le forze dell’ordine il lavoro non è finito. Oltre a ricostruire la vicenda dovranno anche identificare le sei persone che hanno assistito al linciaggio senza intervenire. Anzi, qualcuno si è persino dilettato a filmare il tutto con il suo smartphone e ha poi postato il video sui social network, quasi fosse un trofeo da esibire. Un vero e proprio schiaffo alla dignità, in cui si mischiano violenza e cinismo.

La storia di Luca ha riaperto il dibattito sulle condizioni in cui i portatori di handicap si trovano a vivere nel nostro Paese. Non bastano le barriere architettoniche, l’indifferenza o il diffuso pietismo con cui si guarda a queste persone. Ma ci sono anche gravi episodi di intolleranza. A essere preoccupati sono soprattutto i genitori dei disabili, che si chiedono quale destino sarà riservato ai propri figli quando non saranno più in grado di aiutarli. I progressi recentemente fatti a livello normativo e la sempre maggiore inclusione sociale dei portatori di handicap non sono sufficienti a rassicurali. Finché ci sono loro, dicono, il figlio non avrà problemi, ma dopo?

Per dare una risposta a questo interrogativo nel 2005 è stata creata la “Fondazione di Partecipazione le Chiavi di Casa Onlus”, finalizzata ad aiutare i diversamente abili a sganciarsi dal nucleo originario e a rendersi autonomi, nonostante i limiti fisici con i quali sono obbligati a convivere. “Grazie a questi progetti i figli acquisiscono competenze che permettono loro di diventare più indipendenti – ha raccontato al Redattore Sociale la responsabile per la comunicazione e la raccolta fondi della Onlus, Daria Casali – E non è che prima non le avessero, è solo che, come per tutti noi, a lavare i piatti, fare la lavatrice o le pulizie ci pensava la mamma. Ma casa tua lo fai tu e anche questi ragazzi lo sanno fare. È bellissimo vedere che diventano grandi e se la cavano da soli. E poi grazie alla fondazione, in cui tutte le decisioni sono prese dalle famiglie, c’è il monitoraggio continuo da parte degli altri genitori, anche nel momento in cui i propri dovessero venire a mancare”.

“Chiavi di Casa” attualmente gestisce tre case nel Bolognese, uno a Castelmaggiore e due a Granarolo. Il progetto si rivolge, in primis, ai figli dei fondatori. Gli altri possono accedere sulla base dei criteri condivisi con i Servizi del Distretto Socio Sanitario di Pianura Est. Questo, per il momento, esclude la partecipazione di soggetti affetti da gravi disabilità. Ma l’obiettivo, in futuro, è quello di ammettere chiunque ne faccia richiesta.

I “coinquilini” non vengono lasciati soli nel loro percorso verso la totale indipendenza dalla famiglia. E’ prevista la presenza di una colf, che convive con gli ospiti, di un’educatrice professionale e di un’impiegata amministrativa.  Il tutto è finalizzato a evitare il trauma della collocazione d’emergenza per il disabile che perda improvvisamente i genitori. I ragazzi iniziano un percorso di autonomia continuando a vedere la famiglia nei week end fino a quando è possibile e ciò li allena e li prepara gradualmente a un distacco dolce. Un altro aspetto positivo è il basso numero di persone all’interno dell’appartamento, che consente di creare e mantenere un clima familiare ed un’alta qualità della vita.

Nel tempo i giovani disabili si adattano a una vita che li fa sentire simili ai loro coetanei più fortunati. E diventano capaci di gestirsi anche quando sono soli. “Le ragazze lavorano, prendono l’autobus, si gestiscono e sono molto autonome tanto che il mese scorso quando la badante è andata in ferie non l’abbiamo sostituita e loro sono rimaste da sole, con l’educatrice al pomeriggio” dice ancora Casali. Il vero problema, aggiunge, è gestire i genitori. Se da una parte mamme e papà sono felici del fatto che i propri ragazzi abbiano questa possibilità, dall’altra, quando arriva il momento, spesso non sono pronti. Hanno paura che i figli non abbiano tutte le cure necessarie. Questo atteggiamento, umanamente comprensibile, rischia di pregiudicare l’efficacia del progetto. Per questo la fondazione sta pensando di avviare percorsi professionali per le famiglie, in modo da aiutarle a metabolizzare il distacco.