Vite con il fermo immagine

Immaginiamo per un attimo di volare e osserviamo il panorama sottostante. Aiutati da una semplice telecamera, che dall’alto riprende, cerca, si sofferma, ci accorgiamo che oggi, tra le persone, è sempre più difficile incontrare volti sereni, sorridenti , che sanno contagiare spensieratezza e beatitudine. Immediatamente proviamo un senso di vuoto, e se ci lasciamo planare, così dove ci porta il vento, ciò che ancora vediamo non ci lascia altrettanto tranquilli…

C’è quella coppia di innamorati, laggiù lungo il Corso; il loro sentimento, espresso dal camminare abbracciati, sembra sfidare il mondo. Con passo deciso e ritmato corrono verso il futuro, ma se guardiamo dentro i loro occhi, quella sfida naturale propria della giovinezza, in realtà, si tinge di un sentimento di rabbiosa protesta contro chi ha rubato la speranza di un progetto. I giovani, oggi, si possono dividere in due categorie: quelli disillusi e arrabbiati e quelli disperati, che hanno gettato la spugna, non hanno riferimenti e sono in attesa che le cose cambino da sole, senza sentire necessario agire in prima persona per uscire dalla stagnazione che danneggia anche loro.

Andiamo oltre con il nostro sguardo e subito incappiamo in una coppia di adulti. Scherzano, ridono, non tra loro, però. Sono attratti dalle immagini e dai messaggi del telefono cellulare fuori dal contesto di coppia, immersi in un dialogo, vero o falso, chissà con chi, tra loro non si guardano né parlano…

Nella relazione di coppia, la comunicazione è stata modificata da quest’oggetto, chiamato cellulare, fonte di emozioni come la gioia, la tristezza, la rabbia, che si alternano tra una chat e l’altra creando una vera e propria dipendenza, come con un caffè, una sigaretta, una droga. Lo sguardo d’amore tra due persone è stato rubato da una tecnologia diventata vitale nella quotidianità, ma dai risvolti preoccupanti perché ci ha tolto la libertà di vivere. Siamo tutti costantemente monitorati, scrutati, seguiti…schiavizzati.

Ora, guardiamo più da vicino quei signori di una certa età che insieme sorseggiano un caffè seduti al bar, osservando i passanti. Volgono lo sguardo dall’altra parte con disprezzo all’extracomunitario che si avvicina per vendere qualcosa. “Questa Italia è cambiata troppo in fretta e noi non possiamo più correrle dietro, abbiamo bisogno di essere sostenuti, ma i nostri figli gridano che siamo ancora giovani, si aspettano un aiuto anche economico che non possiamo più dare, la sola mia pensione non basta più”, dicono in un dialogo triste e sconfortato. Il lor volto fa tenerezza, grida stanchezza. Hanno dato tanto amore nella loro vita. Oggi, lo sguardo rassegnato racconta una violenza subìta.

Quale gioia nel cambio immagine, quando l’inquadratura è su due bambini che saltano alla corda cantando allegramente l’ultima canzone di fine scuola. Si guardano e si riguardano, in quello che sembra uno scambio di eterne promesse. Con gli occhi dell’amore, sembrano dire tra loro: “Sono tuo amico”. Questa è la bellezza dell’infanzia. Da bambini i nostri occhi incontravano sempre altri occhi amici o familiari, quelli della mamma, della nonna, del papà, della maestra, con un tempo scandito secondo i ritmi naturali e necessari dei bambini, senza fine e senza fretta. Quegli sguardi d’amore erano come l’aria, l’ acqua, il pane, la vita per la nostra crescita.

Oggi, invece, sembra non esserci più tempo per l’amore.
La mamma moderna non trova più tempo per dire al figlio:“Sei la mia gioia”, oppure, per dare qualche consiglio di comportamento, come anche: “Mangia tutto a mensa”. Basta un messaggino su WhatsApp, con tanto di faccina sorridente, magari inviato dalla stanza accanto, mentre sono entrambi nella loro stessa casa. Il papà non porta più figlio allo stadio per una partita di calcio, basta Sky , un divano e il comodo fermo immagine, se nel frattempo arriva una chiamata in chat.

Le nostre vite sono tutte, ormai, con il fermo immagine. Su noi stessi. Alla fine del nostro volo, resta impressa quella di tanti occhi che non hanno guardato, tanti volti senza sorriso, tanti sguardi senza amore in un tempo rubato, rincorso, negato.
Gesù costruiva relazioni autentiche attraverso lo sguardo, con ogni persona e con le folle, con i discepoli, con Pietro, Zaccheo, Matteo. E il suo era uno sguardo d’amore. “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse …”. Ecco, abbiamo bisogno di uno sguardo così per vivere e, a volte, anche per sopravvivere. Uno sguardo d’amore, quello che cattura l’anima per renderla libera, esaltando la bellezza che c’è in ciascuno di noi.

Gesù si ferma a guardare ciascuno negli occhi, segue la via faticosa dell’incontro personale. Allora, anch’io non voglio più volare, scendo con i piedi a terra e dico a tutte quelle persone intercettate con il teleobiettivo di guardarsi con amore, di ritrovare il tempo per dire l’una all’altro: “Tu sei importante”, magari cantando insieme una bella canzone, mano nella mano, come gioiosamente fanno i bambini.