UN ALTRO MODO DI DIFENDERE LA PATRIA

Difendere la Patria aiutando il prossimo. Il Servizio Civile si basa sullo stesso articolo della Costituzione (il 52) che impone a ogni cittadino il “sacro dovere” di proteggere lo Stato. La pace, tuttavia, non si costruisce solo non facendo la guerra ma anche attraverso l’impegno sociale e la diffusione di valori solidaristici.

Per i più giovani, poi, si tratta di un’opportunità da non sottovalutare. Li aiuta, infatti, a sviluppare competenze e capacità e a orientarsi, in funzione lavorativa, verso settori che altrimenti non avrebbero mai preso in considerazione. Un’opzione particolarmente importante per i Neet – i giovani che non studiano né lavorano – perché il Servizio Civile cambia la vita sia di quanti vengono aiutati, sia di quanti scelgono mettersi a loro disposizione. Uno schiaffo ai tanti che preferiscono non sporcarsi le mani rimanendo però inchiodati sui propri pregiudizi senza conoscere direttamente come vivono le persone etichettate come “problematiche”, “psichiatriche”, “indigenti” etc. Il Scn è anche un modo per vivere il volontariato – grande motore del non profit italiano – in senso più immersivo e coinvolgente. In definitiva, una scelta di pace dinanzi ai tanti scenari di guerra dei nostri giorni.

“E’ un’esperienza bellissima, che rifarei” racconta a In Terris.it Marco, che svolge il Servizio Civile presso la Comunità Papa Giovanni XXIII, aiutando le ragazze strappate al racket della prostituzione. Una scelta che questo giovane disoccupato della provincia di  Ancona, diplomato in grafica pubblicitaria, ha voluto condividere con la fidanzata. “Volevo essere di aiuto in un ambito problematico e delicato come quello della tratta di esseri umani”, un dramma con cui siamo abituati a confrontarci ogni giorno. “Basta passare una serata al mare per accorgersene” e per capire che, dietro il trucco pesante, il rossetto e i tacchi a spillo c’è una ragazza spaventata, abusata, spesso picchiata dagli sfruttatori. “Mi incuriosiva capire cosa provassero quelle giovani – aggiunge – così ogni tanto con i miei amici ci fermavamo e chiedevamo loro ‘come stai?’, ‘come va?’. Da lì la scelta del servizio civile, per vivere questa tragedia più ‘dal di dentro’”.

L’esperienza è forte, c’è poco da dire. Più di quanto si possa pensare nel momento in cui si decide di aderire a uno di questi progetti. Ma dopo lo choc iniziale nasce l’empatia, la confidenza, l’affetto. “Sarà difficile staccarmi da loro – dice Marco con un velo di tristezza – si sono istaurati bellissimi rapporti basati su rispetto e amicizia. Inoltre, c’è un ricevere molto forte, più del dare. Per esempio, sono stato ringraziato anche solo per aver procurato una risata o per uno scherzo. Fuori, nel mondo, sono gesti dati per scontati ai quali non si fa neppure caso: si sorvola sempre. All’interno della struttura di accoglienza, quello che fai – o dai – viene sempre riconosciuto”.

E ti senti utile, elemento da non sottovalutare. Fuori c’è un mondo in crisi, dove il lavoro per i più giovani è un miraggio. Il rischio è lasciarsi sopraffare dalle circostanze, alienarsi, smettere di sentirsi parte di una società in cui ognuno può ancora offrire il suo contributo. “Impari tante cose – sottolinea Marco – da quelle più umili, come cucinare e andare a fare commissioni, alle più impegnative. Ma nel contesto in cui ti trovi anche le azioni quotidiane (spesso scontate) acquistano un valore, visto che le compi per aiutare gli altri. Anche uscire per andare a prendere delle medicine in farmacia o altre commissioni del genere; se le avessi fatte a casa non le avrei considerate. Ma in questo contesto sai che hanno un altro scopo, un fine più nobile e dunque ti fanno sentire una persona molto più utile di quanto ti sentiresti se lo facessi fuori di qui”.