La malattia dell’Italia

Per chi tira a campare e magari usa espedienti per restare a galla in politica non è un buon momento. Si è visto nelle recenti competizioni elettorali amministrative che hanno riguardato una buona fetta dell’elettorato italiano, con le principali città italiane interessate, come Roma, Milano e Napoli. Un test importante per sondare gli umori dei cittadini e per costruire le premesse per rimescolamenti di alleanze nel sempre più confuso magma politico italiano, e magari per far emergere qualche nuovo leader utile a dar sostegno ai traballanti schieramenti impegnati sulla scena pubblica, alla continua ricerca di volti nuovi.

Il numero dei votanti è sceso a livelli preoccupanti dopo tanti anni di elevata affluenza anche nella scelta dei sindaci che, come si sa, ha sempre fatto registrare percentuali di votanti più rilevanti al confronto con le competizioni politiche nazionali o europee. E questo perché i candidati nelle varie liste possono arrivare anche a un migliaio nelle grandi città e quindi diventare attori di forte coinvolgimento dell’elettorato locale; la conoscenza diretta che si ha del sindaco e degli amministratori rafforza la spinta alle urne. Ma anche questi elementi non funzionano più come una volta.

Come non bastasse, la frantumazione delle vecchie alleanze, insieme con l’aumento di quello che chiamano il voto di protesta, ben testimonia e rappresenta la situazione assai diversa rispetto ad anni fa; un puzzle sempre più complicato a comporsi e la constatazione che quasi tutte le competizioni continueranno con il ballottaggio, con nessuno che ha ottenuto un consenso oltre il 50% per essere eletto al primo turno, ben danno conto, per di più, di ciò che sta avvenendo.

Il nostro Paese, dunque, è malato di instabilità e questa situazione mal si concilia con i tempi che stiamo vivendo, indebitati come siamo, incapaci di affrontare la riorganizzazione della spesa pubblica che intanto continua ad aumentare, con le produzioni di merci e servizi esposte nella competizione globale.

L’elettore italiano, storicamente stabilissimo nei suoi orientamenti, è diventato volubile, giacché le strutture politiche oramai sono un simulacro sbiadito di fronte alla personalizzazione imperante. I cittadini, in assenza di partiti, non solo non sono partecipi delle scelte se non con la richiesta che si fa loro di recarsi alle urne o di essere tifosi, ma devono anche sentirsi fare promesse sempre più grandi che naturalmente non diventeranno mai realtà. Il tutto in una condizione di pesante situazione economica che riduce occupati e consumi.

Ancora una volta i segnali dati dagli elettori sono forti e si vuol sperare che ci sia il coraggio di raccoglierli: essi vogliono stabilità. Per ottenerli ci vogliono partiti che siano davvero la casa dei cittadini a che, partecipando alla vita politica, diventino classi dirigenti responsabili e dunque attori della vita comunitaria. Una politica economica e sociale efficace ha bisogno di consenso popolare che si ottiene attraverso la partecipazione consapevole e non con le tifoserie faziose o i bonus estemporanei tirati fuori come i conigli dal cilindro all’ultimo minuto e solo per conquistare il consenso effimero una tantum.

Solo così si può tentare di uscire dalla maledizione del populismo. Prima che sia troppo tardi e si venga travolti dal fiume in piena.