La Chiesa ospedale da campo nella Quaresima del Covid-19

In questa quaresima di lutto e angoscia, offre quotidiana prova di solidarietà e responsabilità la Chiesa-ospedale da campo, attraverso i cappellani degli ospedali, i sacerdoti e le religiose in prima linea nell’assistenza dei malati. Posso testimoniarlo ogni giorno nell’impegno di volontariato che condivido con loro. Ne è una icona suggestiva la figura di Gesù tratteggiata nel Vangelo di Marco 6,34: “Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore”. E ne è tutto un programma il testo di Matteo 9,13: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Il tema dei poveri e di una Chiesa povera e per i poveri era già apparso, sia pure di sfuggita, nel radiomessaggio di Giovanni XXIII ai fedeli di tutto il mondo a un mese dal Concilio ecumenico Vaticano II. Vi si diceva laconicamente: “In faccia ai Paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”.

Ma andò poi acquistando consistenza durante la celebrazione conciliare. Già nel messaggio iniziale si diceva: “Le premure del Concilio si volgono innanzitutto verso i più umili, i più poveri, i più deboli, sull’esempio di Cristo, un sentimento di pietà per la folla che soffre la fame, la miseria e l’ignoranza inonda i cuori di coloro che vi prendono parte. Perciò i loro sguardi sono costantemente rivolti verso coloro che, sprovvisti degli aiuti necessari, non sono ancora pervenuti ad un modo di vita degno dell’uomo”. E nel famoso Patto delle catacombe firmato da una quarantina di vescovi il 16 novembre 1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio, essi si impegnavano, nell’ambito di una opzione per una Chiesa povera, a mettere i poveri al centro del loro ministero pastorale. La Gaudium et Spes, in apertura del documento, dichiarava: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo”.

Ma fu soprattutto nelle riflessioni dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi che l’opzione per i poveri acquistò un posto decisamente centrale. Lo stile di vita di Bergoglio è chiaramente ispirato a un modello di Chiesa povera, come il suo mettersi dalla parte dei poveri, degli esclusi e degli ultimi nella sua azione pastorale da vescovo di Buenos Aires. Divenuto papa, non solo ha mantenuto tale opzione, ma l’ha rilanciata con insistenza a tutta la Chiesa. Nella prima udienza dopo la sua elezione, nell’incontro con oltre 5000 operatori dell’informazione, lasciò sfuggire quasi come un sospiro queste parole: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. E all’attuazione di questo anelito ha dedicato e continua a dedicare i suoi instancabili sforzi, malgrado le opposizioni incontrate in certi ambiti.

A cominciare dalle sue decisioni riguardanti lo stile di vita, concretizzate nel modo di presentarsi sul balcone di San Pietro il giorno della sua elezione, nell’opzione di continuare ad alloggiare nella Casa Santa Marta e non nel palazzo papale, nell’uso della modesta utilitaria per i suoi spostamenti nella sua diocesi, nella rinuncia ad andare a riposare durante i mesi estivi nel Palazzo papale di Castel Gandolfo, e in tante altre opzioni che suscitano grande entusiasmo nella gente semplice, ma anche più di una perplessità o forte critica in coloro che erano abituati ad altri stili di vita dei papi.

Oltre allo stile di vita, la sua opzione per i poveri si esprime in gesti altamente significativi quali sono, ad esempio, la lavanda dei piedi dei dodici ragazzi detenuti nel carcere minorile di Casal del Marmo, tra i quali due ragazze, una di esse musulmana (2013), o dei dodici disabili e anziani presso il Centro 217 Capitolo 14 Santa Maria della Provvidenza (2014), o ancora dei dodici detenuti nella Casa circondariale del Nuovo complesso Rebibbia (2015). A questi si potrebbero aggiungere tanti altri gesti, come le visite alla favela di Manguinho di Rio di Janeiro in occasione della Gmg (2013); alla baraccopoli di Kangemi nella periferia di Nairobi (2015); le visite, spesso non previamente annunziate, ai centri di anziani o bambini ammalati o alle parrocchie periferiche della sua diocesi; l’abbraccio affettuoso e tenero ai bambini, agli anziani e ai disabili; l’allestimento di docce e barbieria per i senzatetto in Vaticano e l’invito fatto loro a partecipare al concerto offerto nella Sala Paolo VI; e innumerevoli altri. È su questo sfondo che si staglia, luminosa ma esigente, l’accorata proposta della misericordia, e dello stesso Giubileo della Misericordia da lui indetto. Un programma che papa Francesco sta attuando di persona, e propone  incessantemente a tutta la Chiesa. Un esempio fatto proprio da tutti i seguaci di Gesù in trincea contro il coronavirus e in aiuto dei sofferenti affinché la Chiesa sia ospedale da campo per l’umanità bisognosa,