La partita dell’Italia contro la paura

Chiunque abbia frequentato una facoltà di economia ha imparato quanto le aspettative abbiano un ruolo centrale nelle decisioni degli operatori economici, famiglie o imprese che siano. In realtà non serve una laurea o un dottorato in materie economiche perché questo assunto sia anche solo intuito, è una evidenza nella vita di tutti i giorni in cui ognuno di noi è chiamato ad effettuare delle scelte che possano o meno implicare delle spese. Se la percezione del futuro fosse rosea, o quantomeno stabile, un soggetto programmerebbe investimenti e consumi con una certa tranquillità, magari anche a debito contando su un credibile aumento dei redditi in tempi brevi, quando, invece, questa risultasse incerta o, peggio, negativa, il comportamento di un agente razionale sarebbe opposto, accantonando risorse per i momenti più difficili e accrescendo così il risparmio.

Questo è, pur spiegato con l’accetta, il quadro in cui le persone si muovono nel sistema economico, guadagnando, spendendo o risparmiando. A sostegno dei consumi, falcidiati dall’emergenza sanitaria ancora in corso, l’attuale governo ha messo in atto un corposo sistema di incentivi, che vanno dai provvedimenti assistenziali come il Reddito di Cittadinanza ai vari bonus e iniziative di sostegno a imprese e famiglie contenuti nei cosiddetti Decreto Liquidità e Decreto Rilancio ma siamo sicuri che tutto questo sia sufficiente? Stando agli ultimi dati sembrerebbe di no.

Facciamo, però, un passo indietro e andiamo a vedere cosa spinga la domanda che, a sua volta, genera i consumi. Tornando nelle aule di economia ci si scontra con la legge di Say che mostra l’identità tra investimento e risparmio… cosa significa questo? Significa l’offerta crea la sua domanda, nel senso che l’origine della domanda è il reddito generato dal processo produttivo che genera l’offerta, questo viene, poi, distribuito a tutti i soggetti che vi abbiano avuto un ruolo attivo; da qui anche l’assunto che un eventuale disallineamento tra domanda e offerta si riassorbirebbe con il tempo attraverso il gioco dei prezzi perché un venditore è contemporaneamente un consumatore e il denaro guadagnato serve per essere speso o investito. Questo assunto è di una portata immensa perché va ad affermare che a qualunque livello di produzione la domanda non potrebbe essere inferiore all’offerta e che livello di piena occupazione dei fattori produttivi sia sempre possibile attraverso dei meccanismi automatici di aggiustamento. Un attimo… allora la moneta, a questo punto, sarebbe neutrale, in quanto mera merce numerario per favorire gli scambi e le azioni di politica monetaria sarebbero inutili nel medio lungo periodo, poiché i prezzi andrebbero a riequilibrarsi sui valori reali dettati dal gioco della domanda e offerta, quindi a un livello nominale più elevato, in caso di politiche monetarie espansive (inflazione), o a un livello nominale più basso in caso contrario (deflazione).

In effetti questo è quello che prevede quella che viene chiamata la “teoria classica” che, poi, è sintetizzata nella teoria quantitativa della moneta di Fisher dove anche l’inflazione è un fenomeno con effetti reali trascurabili nel medio lungo periodo. Qui entra in gioco la critica di Keynes, autore sempre centrale nella discussione economica sia per gli estimatori sia per i detrattori, perché la visione suddetta implica che ogni centesimo guadagnato sia impiegato in consumi o investimenti, cioè reimmesso nel circuito produttivo, assunto da cui discende la neutralità della moneta.

Bene, la moneta non è neutrale, in quanto può avere anche funzione speculativa o di riserva di valore, e risparmio e investimento possono non coincidere e qui entra il concetto di disallineamento tra domanda e offerta dove la domanda aggregata può benissimo essere inferiore all’offerta e le risorse tesaurizzate e non reimmesse nel mercato e in questo Keynes, sicuramente, non sbagliava. In questo scenario entra il concetto di aspettativa accennato prima. Non credo sia il caso di scomodare le previsioni della cosiddetta scuola austriaca o la teoria delle aspettative razionali di Lucas e Sargent perché, come tutti i modelli economici, scontano un bias importante che è quello dell’informazione perfetta, che non esiste; il mondo vive in uno stato di asimmetria strutturale e le informazioni rappresentano un asset fondamentale in ogni processo decisionale e di investimento.

Ciononostante un soggetto razionale muove le sue decisioni sulla base del patrimonio informativo in suo possesso e se questo fosse fosco o imprevedibile sposterebbe le risorse disponibili dalla spesa per consumi e investimenti non necessari al risparmio per accantonare un “tesoretto” per far fronte a necessità future, esattamente come narrato nella favola della cicala e della formica di Esopo che, con 2’500 anni di anticipo sulla teorizzazione del processo decisionale, descrive perfettamente i meccanismi personali di scelta e di azione degli agenti economici. Qui si gioca la partita attuale in Italia.

Già l’operato del governo a maggioranza relativa pentastellata non ha mai convinto buona parte degli italiani la cui azione si è incentrata sia nella prima versione con la Lega alleata sia in questa con il Partito Democratico su interventi ideologici e non strutturali se non per l’aumento della spesa pubblica (come per il Reddito di Cittadinanza), non è stata fatta alcuna azione duratura in campo fiscale o nel rilancio del sistema paese, tanto che il “cigno nero” dovuto dalla pandemia di Covid19 ha mostrato tutte le mancanze di questi tre anni di legislatura.

Non è un mistero che un lockdown come quello vissuto tra marzo e maggio abbia colpito pesantemente alcuni settori del tessuto produttivo, soprattutto quello legati a turismo, ristorazione e PMI, mettendo in serio pericolo la sopravvivenza di diverse aziende che, falcidiate da anni da costi burocratici e fiscali (e sia chiaro che questa situazione non è solo colpa del governo attuale), potrebbero non riaprire dopo le ferie estive o “portare i libri in tribunale” entro pochi mesi, nonostante la possibilità di ottenere dei finanziamenti agevolati e garantiti come previsto dall’ex DL Liquidità.

Nel frattempo, però, i redditi dei lavoratori dipendenti sono stati salvaguardati, da un lato con l’ausilio del telelavoro (perché lo smart working o lavoro agile è adottato solo da poche aziende, oggi, nonostante quello che è stato riportato dai media) che ha permesso ai dipendenti di PPAA e di grandi aziende di non avere interruzioni nella prestazione lavorativa e di mantenere inalterate le remunerazioni e dall’altro l’estensione della CIG ha consentito il mantenimento dei livelli occupazionali, se pur con una riduzione di reddito, per gli altri ma la percezione dell’immediato futuro non è sicuramente limpida né ottimistica e da qui l’impennata del risparmio delle famiglie che si è riversato nella liquidità per tanti e, per alcuni, nel cosiddetto “risparmio gestito”, tanto che alcuni specialisti come Fineco stanno già indicando raccolta da record, nonostante il periodo. Tutta questa massa di liquidità è stata, quindi, tolta dal circolo produttivo e i consumi hanno subito un calo vistoso, anche se non ancora un crollo per via del commercio online.

La tenuta del sistema economico, quindi, è messa a dura prova perché meno consumi significa meno incassi da parte dei produttori, aumento delle rimanenze in magazzino perché la produzione non può essere fermata, in molti casi, senza creare un danno superiore e questo si traduce in maggiori oneri sia a livello logistico sia a livello fiscale, perché il magazzino è considerato un elemento positivo di reddito, cosa che, credibilmente, si tradurrà in aumento della disoccupazione non appena il divieto di licenziamento, stabilito per via normativa, venisse meno.

La percezione di questa incertezza, unita a un certo sensazionalismo da parte dei media che amplifica il clima di timore dovuto alla pandemia ancora in corso, va a incidere sul comportamento di famiglie e imprese che, prospetticamente, aumenteranno il tasso di risparmio prudenziale sottraendo altre risorse al sistema produttivo poiché i tassi d’interesse schiantati se pur dovrebbero spingere alla possibilità di contrarre debiti per consumi e investimenti amplifica ulteriormente l’insicurezza per il futuro creando un uroboro, un circolo vizioso in pratica, che potrebbe aggravare ancora la crisi imminente. Cosa succederà, quindi, domani?