Caso Cucchi: condannati a 13 anni i due carabinieri

La Corte d'Assise d'Appello ha emesso le sentenze per il reato di omicidio preterintenzionale. Il disappunto dei difensori dei militari : "Sentenza ingiusta, andiamo in Cassazione"

Ilaria e Stefano Cucchi in una foto di qualche anno fa

Dopo cinque ore di camera di consiglio, a quasi dodici anni e a otto processi (siamo al nono) dalla morte di Stefano Cucchi, la Corte d’Assise d’Appello di Roma condanna a 13 anni per omicidio preterintenzionale i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele  D’Alessandro, imputati per il pestaggio del geometra di 31 anni arrestato la sera del 15 ottobre 2009 e deceduto pochi giorni dopo, il 22 ottobre all’ospedale Sandro Pertini di Roma. “Il mio primo pensiero va a Stefano e ai miei genitori, che non possono essere con noi per il caro prezzo che hanno pagato in questi anni”, commenta Ilaria Cucchi, sorella della vittima. “La mamma di Stefano, la signora Rita Calore, ha pianto non appena ha saputo della sentenza. Siamo comunque pienamente soddisfatti della decisione di oggi”, ha detto l’avvocato Stefano Maccioni, parte civile nel processo e legale dei genitori di Stefano Cucchi. I difensori dei due condannati annunciano che ricorreranno in Cassazione. Esprimono vicinanza e solidarietà alla famiglia Cucchi i genitori di Riccardo Mogherini, Carlo Giuliani, Federico Aldrovrandi e la sorella di Giuseppe Uva, Lucia, ha dichiarato: “Stefano ha dato giustizia a tutti. Questo è un inizio, chi ha sbagliato è giusto che paghi per i propri errori”

Gli altri condannati

I giudici del processo di appello bis confermano le condanne e alzano le pene di un anno come chiesto dal procuratore generale ai due militari ritenuti responsabili del pestaggio. Per quanto riguarda altri due imputati, dovrà scontare quattro anni il maresciallo dell’Arma Roberto Mandolini, comandante della stazione Appia dove Cucchi venne condotto dopo le percosse, in quanto avrebbe coperto l’accaduto, e due e mezzo Francesco Tedesco, scagionato in primo grado dall’accusa di omicidio preterintenzionale e diventato poi il “superteste” che dopo quasi dieci anni ha denunciato i colleghi. Al primo la pena è stata alzata rispetto ai tre anni e otto mesi del primo grado, mentre al secondo è stata confermata.

Resta aperto il processo per depistaggio nei confronti di otto militari accusati a vario titolo di reati che vanno dal falso all’omessa denuncia, alla calunnia e al favoreggiamento.

Le difese dei carabinieri: “Ricorreremo in Cassazione”

Si rivolgeranno alla suprema corte gli avvocati di D’Alessandro e Di Bernardo. Maria Lampitella, legale di D’Alessandro, ha dichiarato: “La giustizia non guarda più al dato processuale, la conferma è oggi con l’accoglimento di una impugnazione completamente inammissibile, che ha condannato ancor più gravemente gli imputati di questo processo. La nostra speranza è riposta nel giudice delle leggi, la Cassazione”. Il difensore di Di Bernardo, Antonella De Benedictis si è definita “molto amareggiata” e ha detto “ritengo che l’omicidio preterintenzionale non sia giusto”, sostenendolo con “c’è una perizia medica che accerta il fatto che Stefano Cucchi sia morto in conseguenza dell’ostruzione di un catetere”. E annuncia: “Ricorreremo in Cassazione”.

Le voci degli altri

Commenta così la notizia Giuliano Giuliani, padre di Carlo rimasto ucciso durante gli scontri del G8 di Genova nel 2001: “Ogni tanto arriva una sentenza corretta, ma continuo a pensare che non si sono mai presi provvedimenti contro quei magistrati che avevano detto che Cucchi fosse morto per malnutrizione“. “Per la prima volta i giudici si comportano in modo giusto. Sono contento per Stefano, per la sua famiglia, che al contrario nostro ha avuto giustizia”, dichiarato Guido Magherini, padre di Riccardo. Sue figlio è morto nel 2004, a 39 anni, a Firenze, colto da un infarto durante un fermo dei carabinieri.

“Ne sono contenta, la giustizia per Stefano alimenta la speranza di giustizia anche per gli altri casi simili”, così Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, morto a 18 anni nel 2005 durante un controllo della polizia. “E’ una bella notizia, chi ha sbagliato doveva pagare perché il ragazzo non poteva morire da solo come sono morti tutti gli altri”, ha dichiarato Lucia Uva, sorella di Giuseppe, morto nel 2008 dopo essere stato fermato dai militari. “Questo è un inizio, chi ha sbagliato è giusto che paghi per i propri errori”, ha aggiunto.