SETTANTUNO ANNI FA L’ECCIDIO DELLE FOSSE ARDEATINE

Dopo 71 anni l’Italia si ferma a ricordare l’eccidio delle Fosse Ardeatine, uno dei massacri simbolo dell’occupazione tedesca in Italia negli anni che seguirono l’armistizio dell’8 settembre 1943. E la più grave strage commessa dai nazisti a Roma, città per gran parte risparmiata da bombardamenti e atti di ferocia anche grazie alla presenza e all’intermediazione del Vaticano. Era il 24 marzo del 1944, quando 335 persone furono rastrellate dalle SS comandate dal tenente colonnello Herbert Kappler e condotte nelle antiche cave di pozzolana situate sulla via Ardeatina, dove furono giustiziate con un colpo di pistola alla nuca. L’antefatto della rappresaglia era l’attentato di via Rasella, messo in atto dai partigiani dei Gruppi di Azione Patriottica delle brigate Garibaldi contro l’11ª compagnia del III battaglione del Polizeiregiment “Bozen” nel quale vennero uccisi 32 soldati tedeschi. Un attacco che continua a dividere gli storici e non solo, ma non è questo il momento di abbandonarsi al revisionismo o, peggio, all’ideologia.

La prima alta autorità ad arrivare in via Rasella dopo l’attentato fu il questore Pietro Caruso, subito dopo giunse il generale Kurt Mälzer comandante della piazza di Roma, che apparve sconvolto dall’evento, diede in escandescenze e proclamò subito la volontà di procedere alla “vendetta per i miei poveri kameraden”. Il generale parlò di distruggere tutto il quartiere e di eliminare gli abitanti; il consigliere d’ambasciata Möllhausen e il colonnello Kappler arrivarono poco dopo e cercarono di calmare il generale Mälzer; il colonnello assicurò che avrebbe svolto un’inchiesta immediata per appurare modalità e responsabili dell’attacco. Nelle ore successive si decise l’entità della rappresaglia: sarebbero stati uccisi 10 italiani per ogni militare tedesco assassinato.

La maggior parte proveniva dalle carceri romane, ma nella lista scritta da Erich Priebke finirono anche ebrei, presunti antifascisti, ex componenti dell’esercito italiano (uno su tutti Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo) e persino don Pietro Pappagallo, sacerdote accusato di essere filocomunista per il solo fatto di aver aiutato le vittime delle SS. Dopo l’esecuzione le gallerie furono fatte saltare con la dinamite, per nascondere le prove dell’eccidio. Dopo la guerra gli autori della strage vennero perseguiti dalla giustizia italiana. Kappler fu condannato all’ergastolo ma nel 1977 riuscì a fuggire dall’ospedale militare del Celio dove era stato ricoverato per un tumore. Morì in Germania l’anno successivo. Il principale collaboratore di Kappler, l’ex-capitano delle SS Erich Priebke, dopo una lunga latitanza in Argentina, nel 1995 venne arrestato ed estradato in Italia, ove, processato, venne condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine. E’ morto a Roma l’11 ottobre 2013.