Creato il primo embrione artificiale: arriva da cellule staminali di topo “coltivate” in 3D

Dal punto di vista scientifico si tratta di una scoperta epocale: un gruppo di ricercatori dell’Università di Cambridge, infatti, è riuscita per la prima volta nella storia a creare un embrione artificiale generato da cellule staminali di topo coltivate su un ponteggio tridimensionale (sul quale si sono spontaneamente assemblate), in modo da consentirgli di crescere senza la fase di fecondazione all’interno dell’utero. Un passo decisamente importante che apre nuove frontiere nel campo della ricerca sulle staminali, specialmente nell’ottica dello studio di malattie gravi. Meno dal punto di vista dello sviluppo di un feto sano, in quanto la ricerca è per il momento applicabile solo alle prime fasi di crescita dell’embrione e, a ogni modo, un’ulteriore sperimentazione resta in un contesto unicamente teorico, per presupposti e tecnologia.

Embrione 3D

Il percorso degli scienziati si è incentrato sullo sviluppo di un embrione attraverso l’esclusivo utilizzo delle staminali embrionali (Esc) e delle Tscs (che formano la placenta): il primo passo è stata la modifica genetica delle cellule prelevate da un embrione di topo (anche se il procedimento non è stato specificato), le quali sono state poi inserite nel suddetto ponteggio 3D per lo sviluppo extrauterino. Un processo che, al termine delle fasi di sperimentazione, ha generato un prodotto genetico del tutto simile a un vero embrione naturale. Al di là della, per così dire, straordinaria somiglianza, uno sviluppo ulteriore appare decisamente remoto, anche per la necessità di inserire nel processo anche le staminali indispensabili per la formazione del sacco vitellino e dei suoi fondamentali vasi sanguigni.

Nuove frontiere

“Avere a disposizione un embrione artificiale è un passo in avanti per le conoscenze di base relativi ai primi stadi della vita”, ha detto il genetista Edoardo Boncinelli, riportato dall’Ansa. “E’ anche un passo significativo per ridurre al minimo l’uso degli animali nei laboratori”. Pur aprendo scenari decisamente interessanti in un’ottica scientifica, dunque, legata soprattutto allo studio di malattie, la replica umana appare lontana anche nell’aspetto puramente pratico della questione, per via della suddetta. D’altronde, però, lo studio di embrioni “in provetta” consentirebbe di approfondire i pericoli corsi dalle gravidanze nella fase di sviluppo embrionale (quella più a rischio). Ovviamente, le frontiere restano aperte.