L’arte di perdere

Un giovane artista entrò in un monastero. Era consapevole del suo sacrificio: lasciava tanti anni di studi e sacrifici per essere totalmente disponibile per Dio. Nel monastero poteva parzialmente esercitare la sua arte, ma non con molta comprensione. La vita comunitaria e i compiti che riceveva erano sempre più esigenti.

D’altro canto la tentazione di rimanere un artista, pure un artista-monaco, non lo lasciava in pace. Guardava il mondo. Anzi, guardava alcuni confratelli, altri artisti religiosi; si poteva dire che avevano fatto carriera. Talvolta si sentiva confuso, lacerato. In qualche modo iniziò a riconsiderare la propria scelta e il suo sacrificio. La radicalità originaria pian piano lasciava posto a diversi compromessi. Tutto diventava sempre più complicato; nel mondo delle competenze e professionismo, gli altri valori contano sempre di meno.

Un giorno però il nostro monaco-artista incontra uno dei suoi confratelli più anziani: un pittore che ha definitivamento lasciato la sua arte prima di entrare il monastero. Ha distrutto alcuni dai suoi quadri e non ha mai più preso un pennello. Diceva che la sua strada lo portò dall’arte a Dio.

Iniziano a parlare. Di questa conversazione, gli restano impresse alcune parole: Ricordati, sei venuto qua per perdere! Parole, si potrebbe dire, inumane eppure stranamente corrispondenti ai frammenti più esigenti del Vangelo, quelli sulla croce che ognuno da noi deve portare, rinnegando se stesso.

Oggi anche il messaggio della Chiesa cerca di essere “positivo”.  Si deve essere umani, non esagerare. Ma come mettere tutto questo insieme col radicalismo del Vangelo? Tutto si può spiegare e giustificare, però molto spesso a spese della forza di testimonianza. In realtà conta la purezza della nostra intenzione cioè se, servendo Dio, non vogliamo contrabbandare i nostri interesi. Se dedicandoci a Lui non lasciamo per caso un piccolo angolo per noi stessi. Il dinamismo della vita spirituale fa che ogni compromesso di questo tipo risulti una diluizione del nostro spirito e pure della nostra espressività esistenziale.

Basta guardare le persone che incontriamo. Identifichiamo subito qualcuno che cerca di fare i propri interessi, che pensa solo a se stesso, alla sua posizione. Sono pochi quelli che pensano agli altri, a idee e progetti comuni, invece di concentrarsi solo sui benefici che ne potrebbero trarre. Sta proprio qui la misura del valore di una persona, della sua credibilità e onestà. Ne abbiamo oggi tanta carenza, e tanto bisogno. Allora saper davvero perdere, senza finzioni e compromessi, sarebbe una via regia contro tanta dominazione di egoismo e narcisismo. Questo significherebbe dare lo spazio agli altri, accogliergli, farli felici. Ecco la vera strada della Quaresima e della Misericordia.

fr. Bernard Sawicki osb, coordinatore dell’Istituto Monastico A Sant’ Anselmo a Roma
www.anselmianum.com