IL PAESE MUORE, MA LA POLITICA NON SE NE ACCORGE

È di questi giorni la notizia della debacle demografica che ci colpisce, che riguarderà la perdita in un solo anno di 150.000 residenti. I dati in possesso dal Governo, non ponderati sufficientemente per la importanza che hanno per la sicurezza ed il benessere della nostra comunità nazionale, non sono oggetto di riflessione e di iniziativa; anzi come si nota, ai primi punti delle discussioni e decisioni importanti, vengono poste questioni di tutt’altro segno. I dati elaborati dal demografo GianCarlo Blangiardo, che dimostrano, dati alla mano, la pericolosa ed inarrestabile curva discendente della condizione demografica, dovranno portare a svolte radicali pena l’arretramento pericoloso della intera comunità nazionale. I dati dicono che la nostra popolazione subirà un calo di dimensioni straordinarie, e che per la prima volta dopo cent’anni, regrediamo riguardo il numero di residenti in Italia.

Bisogna tornare indietro nel tempo, al triennio triste della “grande guerra” 1915-18, per ritrovare un arresto tanto vistoso della decrescita della popolazione rispetto ai decenni precedenti. In quella epoca, la causa della perdita di circa un milione e mezzo di persone decedute fu il conflitto mondiale, e la strage provocata in Europa dalla pandemia influenzale “la spagnola” che trascino nelle bare milioni e milioni di morti come non accadeva dalle pesti in tutto il continente nei secoli precedenti. A questi sconvolgenti eventi luttuosi, va aggiunto, ovviamente, che in quel periodo storico, le nascite si ridussero al lumicino per la partecipazione al conflitto di tanti giovani.

Occorre chiedersi quali elementi così potenti, oggi, ci hanno condotto a risultati così negativi?
È evidente che il bilancio tra il numero sempre minore di nascite rispetto ai decessi, ha determinato di per se condizioni sfavorevoli. Peraltro l’andamento delle morti di quest’anno, hanno subito un aumento per certi versi inspiegabile, e di gran lunga maggiore rispetto agli anni passati. Ma diminuiscono anche i flussi di immigrazione verso di noi, con una inferiore prolificità delle loro famiglie. Infine un incremento significativo degli espatri dei nostri connazionali verso altre nazioni.

Si discute senza fine e senza senso del nostro PIL, che starebbe segnalando non si sa quale ripresa per supposti zero virgola qualcosa in più, ed invece i dati a cui mi sto riferendo sono una spia vistosissima delle cose che vanno male nella economia e nelle viscere della cultura dominante, che senza rapide correzioni di politica economica e sociale, ma anche di natura culturale, non potremo che precipitare nel vuoto.
Sono fenomeni questi, che raccontano di una rovinosa disattenzione della classe dirigente e della comunità nazionale, che finora, su ogni componente riguardante la demografia, o ha fatto poco, o quando ha deciso qualcosa, ha operato in senso contrario a ciò che serviva.

Infatti per la famiglia non si dispone di una fiscalità di privilegio, né sono garantiti i servizi nido e di sostegno ai bambini. Le politiche della conciliazione famiglia lavoro sono striminzite. Le spinte governative, degli ultimissimi tempi, culturali e politiche, sulla funzione della famiglia, di cellula naturale,costitutiva per la comunità – peraltro privilegiata dalla Costituzione – va nel senso opposto.

Le politiche immigratorie sono gestite alla rinfusa e comunque incapaci di riconoscere l’importante contributo che gli immigrati offrono alla produzione di beni e servizi, allo stimolo culturale della loro preziosa presenza, allo stesso concorso demografico che garantiscono.

Che dire poi della emorragia di giovani, molti dei quali professionalmente preparati, che scelgono altri paesi per il loro lavoro? Penso che non siano preoccupanti le esperienze momentanee all’estero, che anzi vanno incoraggiate; preoccupante è che la più parte di loro non trovi interessante mettere a frutto le loro esperienze in Italia, tornando a risiedere nella propria terra di origine per la scarsità di opportunità.
Il fatto che questi temi sono lontani dal dibattito nazionale, dimostra una responsabilità pesante dei governanti e della classe dirigente, riguardo il nostro avvenire. Se ogni cosa continuasse nello stesso modo, non disporremo in futuro delle necessarie professionalità, per procurarci come italiani il necessario reddito dalla attuale divisione internazionale del lavoro.

Tutto questo mentre la popolazione anziana cresce, arrivando in prospettiva a metà di questo secolo a più di un milione di ultra novantacinquenni, con uno squilibrio grandissimo, difficilmente governabile sul piano sociale. Non avremo così, come è nella condizione naturale delle cose, giovani nella produzione, che possono per condizione di forza esprimere la ricchezza per sostenere con il welfare gli anziani; come, hanno potuto fare precedentemente da giovani nei confronti dei loro anziani. Quindi il problema è seguire l’ordine naturale delle cose e non andando avanti secondo modelli astratti che le mode del tempo impongono. Solo così si spiegano tante disattenzioni e tanti errori fatali che stanno pregiudicando il futuro dell’Italia.