Martocchi: “I dialetti sono un eredità storica che ci apre al contatto con gli altri popoli”

L'intervista di Interris.it al linguista Andrea Martocchi, in merito all’importanza della linguistica quale fattore di coesione umana e culturale tra i diversi popoli

Libro (© Foto di lil_foot_ da Pixabay)

La comunicazione, nel corso dei secoli, ha consentito la nascita della cultura. La parola, infatti, ha la capacità di manifestare idee, concetti e significati di qualsiasi genere. Conferisce ad ognuno di noi la capacità di esprimere ad altri i simboli che ciascun individuo elabora nella propria mente. Quindi, si può dire che, la nascita della cultura, ha consentito l’avvio della capacità simbolica degli esseri umani grazie al linguaggio comune e ai vari dialetti che, nel tempo, hanno favorito l’acquisizione di una radice culturale comune all’interno delle diverse comunità nazionali e locali.

La situazione in Italia

In Italia, secondo una recente indagine dell’Unesco, vengono parlate 31 lingue diverse tra l’italiano ed i vari dialetti. Storicamente, dall’epoca di Dante, per più di cinquecento anni, la penisola italiana è stata divisa in molti stati, ma gli scrittori, indipendentemente dall’area geografica di provenienza, hanno usato una sola lingua: il fiorentino letterario del 1300 di Dante, Petrarca e Boccaccio, che, per ognuno di noi, ha rappresentato l’anticipatore della lingua italiana. Questo è il motivo per cui, al fine di dar vita all’Unità d’Italia, la lingua e la cultura, insieme alle cosiddette lingue minoritarie, sono stati e sono tuttora un elemento di fondamentale rilevanza. Interris.it, in merito all’importanza della linguistica quale fattore di coesione umana e culturale tra i popoli nella nostra epoca, ha intervistato il dott. Andrea Martocchi, linguista esperto nel campo della ricerca nell’ambito delle discipline linguistiche e storico-sociali come la dialettologia, la documentazione linguistica, la toponomastica e ricerca genealogica. È autore di diverse opere sulla valorizzazione dei dialetti e delle lingue nelle comunità locali.

Il dottor Andrea Martocchi (© Andrea Martocchi)

L’intervista

Dottor Martocchi, come possiamo definire la linguistica?

“Nel corso dei secoli ci sono stati dei tentativi innumerevoli, tutti preziosissimi ma nessuno vincente, di definire in modo univoco una disciplina come la linguistica che, in realtà, è molteplice e, fin dalla sua nascita, è interconnessa ad altre, sia alle scienze umane che a ulteriori discipline, come ad esempio la storia, la geografia e l’antropologia, ma anche la logica, la fisica, la matematica e, ad oggi, l’informatica che ha strettamente a che fare con la linguistica. In breve, si può definire come l’indagine scientifica del linguaggio verbale umano. Definire la linguistica è difficile perché, il linguaggio, è pervasivo ed è ovunque. È lo strumento di comunicazione tra tutti gli esseri umani. Le lingue veicolano il nostro modo di comunicare, anche per quanto riguarda l’ingegneria oppure la politica. Sono ovunque e influenzano il nostro modo di concepire gli eventi e dar loro dei significati. Non solo sono influenzate dal pensiero, ma lo influenzano a loro volta. Questo è il motivo per cui, dare una definizione di linguistica, è così difficile”.

In che modo, le lingue, contribuiscono all’evoluzione storica dei popoli?

“La lingua è anche un fatto sociale e politico, nel senso più ampio della parola. Riguarda il modo di vivere comune, la collettività e l’elaborazione di tutte le culture. Basti pensare come nella storia, molto spesso, i processi di autodeterminazione di molti popoli, sono partiti dall’idea della comunanza linguistica, usata come una bandiera per definire un popolo che, magari, non era ancora tale e, il fatto di parlare la stessa lingua, nei secoli è servito a unificarsi politicamente. Viceversa, ci sono stati dei momenti storici in cui, per costruire l’idea di un popolo, si è reso necessario unificarlo linguisticamente. La situazione italiana, secondo me, è più simile a questo secondo scenario. C’è una frase famosissima di Massimo d’Azeglio che ha detto: ‘L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani’. Noi, per dirla in breve, prima abbiamo fatto l’italiano, poi l’Italia e, infine, abbiamo insegnato l’italiano agli italiani. La storia dei popoli è influenzata dalla lingua e la influenza continuamente”.

In che modo, alla base della sua esperienza di studio, i dialetti possono contribuire a far conoscere il contesto sociale e le radici storiche delle diverse comunità?

“Studio principalmente i dialetti e, dalla loro conoscenza, vedo molti vantaggi che riassumo in tre punti. Il primo è che, la conoscenza del dialetto, aiuta a riscoprire il percorso storico e sociale che, una comunità, ha intrapreso nei secoli. La lingua e le parole conservano una traccia del nostro percorso. Quando, ad esempio, c’è stata la fase storica delle migrazioni italiane all’estero dei nostri bisnonni, negli Stati Uniti, in Australia o nei paesi del Sud America, abbiamo fatto nostre molte parole adottate da quelle comunità e, di conseguenza, anche la nostra cultura è un po’ cambiata e noi lo scopriamo attraverso lo studio del dialetto. Il secondo punto è rappresentato dell’importanza cognitiva della conoscenza di un dialetto perché, soprattutto quelli dell’italiano, sono sufficientemente distanti dalla lingua di oggi, al punto da essere considerati dal nostro cervello come due lingue diverse e quindi, nel cervello di chi parla sia l’italiano che il dialetto, si può fare cenno al bilinguismo. Numerosi studi confermano che, la conoscenza del dialetto, conferisce moltissimi benefici quando si vuole imparare una terza lingua o una quarta. Infine, c’è la bellezza e il fascino dello scoprire che abbiamo delle radici in comune anche con dei popoli molto distanti da noi. Le popolazioni dell’Indo, ad esempio, molti millenni fa, erano nostri stretti parenti. La genetica lo conferma ma, la linguistica, c’è arrivata prima. Crea dei ponti, non dei muri”.

Le lingue minoritarie sono uno dei simboli delle nostre radici culturali. In che modo, secondo lei, si possono preservare e valorizzare nell’epoca che stiamo vivendo, sempre più connotata da veloci cambiamenti sociali e culturali?

“I modi per valorizzarle sono moltissimi. Molto è già stato fatto per la conservazione scritta dei dialetti nei metodi più tradizionali, ovvero i vocabolari, le liste di parole e con la letteratura, sia in poesia che in prosa. Oggi, secondo il mio punto di vista, è fondamentale conservare l’audio, ovvero il parlato che rappresenta il modo autentico in cui le persone parlano il dialetto. Gli archivi sonori hanno un’importanza fondamentale, sono fatti di registrazioni audio che, in futuro, si potranno ascoltare e riscoprire. Ho un’altra speranza per il futuro dei nostri dialetti: in un mondo come il nostro, sempre più interconnesso dove, ancora una volta, si sta scoprendo il valore del plurilinguismo, si possa inserire il dialetto nella nostra educazione linguistica. Non insegnandolo a scuola come una lingua straniera, ma come esperienza, attraverso la lettura di libri e il dialogo con gli anziani. Questo può dare ai bambini e ai giovani studenti un’apertura per l’apprendimento di tante lingue e culture diverse, non ultima quella che abbiamo nelle nostre case che sarebbe bello salvare, almeno in parte. È un’eredità storica di chi ci ha preceduto che ci apre la porta verso il contatto con altri popoli e altre comunità”.