TENSIONI TRA ARABIA E IRAN, KHAMENEI: “VENDETTA DIVINA”

Resta altissima la tensione tra l’Arabia Saudita e l’Iran dopo l’esecuzione del leader sciita al-Nimr e di altre 46 persone sospettate di essere dei “terroristi” e l’assalto, nella notte da parte di un gruppo civili, all’ambasciata saudita di Teheran durante il quale sono stati arrestati una quarantina di protestanti. L’incendio al consolato, l’assalto all’ambasciata. Per la guida suprema della Rivoluzione islamica, l’ayatollah Ali Khamenei, si tratta di una “vendetta divina”. La massima autorità dell’Islam sciita ha definito l’esecuzione di Nimr “un errore politico” che “perseguiterà” i membri del governo saudita. Lo sceicco saudita, che trascorse lunghi anni di studi nella Repubblica islamica, “non ha mai incoraggiato il popolo all’azione armata, né cospirato in segreto contro le autorità. Ha solo – ha ricordato l’ayatollah – sollevato critiche sulla base del suo zelo religioso”. “Il sangue ingiustamente versato di questo martire avrà presto delle conseguenze: Dio non perdonerà”, ha affermato Khamenei.

Ieri sera manifestanti hanno attaccato la sede dell’ambasciata saudita a Teheran in segno di protesta, facendo irruzione nell’edificio e appiccandovi un incendio. L’assalto è terminato con un intervento delle forze di polizia, che hanno arrestato circa 40 persone. Immagini pubblicate sui social mostrano i dimostranti intenti a danneggiare e dare alle fiamme oggetti di arredamento. Sulla vicenda è intervenuto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Hossein Jaber Ansari, il quale ha invitato alla calma e chiarito che non saranno più permesse manifestazioni di protesta nei pressi delle sedi diplomatiche saudite.

Al Nimr, arrestato nel 2012 dalle autorità di Riad a seguito di violenze scoppiate l’anno prima nella Provincia orientale sulla scia della Primavera araba, è stato giustiziato insieme ad altri 46 “terroristi” tra cui un ciadiano e un egiziano. Gli osservatori temono che l’esecuzione di al Nimr possa riaccendere le tensioni tra le autorità saudite e la comunità sciita che abita in maggioranza la zona nord-orientale del paese, ricca di risorse petrolifere. Il religioso non ha mai negato le accuse mosse nei suoi confronti, ma ha sempre sottolineato di non aver mai utilizzato un’arma, né istigato alla violenza. Prima del suo arresto, aveva dichiarato che “il popolo non vuole essere governato da chi uccide dimostranti”. L’Arabia Saudita ha eseguito 157 condanne a morte nel corso del 2015, il piu’ alto livello raggiunto negli ultimi due decenni.