Terrorismo, espulso un tunisino: “Gli era stato ordinato di colpire in Italia”

Il tunisino residente a Edolo, nel Bresciano, espulso 28 dicembre e partito la mattina del 29 con un volo per Tunisi, “a metà novembre 2016 aveva ricevuto indicazioni, da persona a lui nota, di compiere attentati in Italia simili a quelli compiuti in Francia e in Belgio, per ritorsione contro le operazioni dell’Italia in Libia”. Lo precisa il Viminale in una nota citando i risultati di “attività investigative, operate anche con la collaborazione internazionale e dei servizi di intelligence“.

Intanto alcuni telefoni cellulari sono stati sequestrati nel corso delle due perquisizioni fatte ieri dalla Digos a Campoverde, frazione di Aprilia (Latina), nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma sull’attentato di Berlino. I controlli sono scattati alla scoperta di contatti che Amis Amri ha avuto un anno fa con un connazionale residente a Campoverde e attualmente detenuto per spaccio di droga a Velletri, vicino a Roma. Dagli stessi accertamenti disposti dal pm Francesco Scavo è emerso anche che il jihadista è stato ospite nelle due abitazioni (la prima occupata dalla moglie italiana del detenuto, la seconda abitata da parenti della stessa donna) nel 2015. Gli apparecchi telefonici sono ora oggetto di verifiche per stabilire se ci siano stati contatti con il terrorista tunisino dopo la strage di Berlino. Il sospetto degli investigatori è che la destinazione di Amri, prima del conflitto a fuoco in cui è morto a Sesto San Giovanni, fosse proprio l’Agro Pontino.

Nel frattempo la Sueddeutsche Zeitung ha rivelato che è stato il “sistema di frenata automatico” in dotazione al tir ad evitare che il bilancio dell’attentato fosse molto più pesante. Non è stato dunque l’autista polacco, probabilmente già morto al momento dell’attacco, ma questo sistema a bloccare dopo 60, 70 metri la corsa del tir. E lo stesso quotidiano ha rivelato che le autorità di sicurezza hanno per due volte ritenuto “improbabile” che Amri progettasse attentati in Germania, discutendone nel Centro antiterrorismo, luogo in cui si riuniscono funzionari federali e dei Laender. E questo nonostante fosse noto che Amri aveva cercato “su internet istruzioni per fabbricare bombe e produrre esplosivo” e avesse tentato già “a febbraio contatti con l’Isis“.