Mentre il mondo combatte il coronavirus si preparano nuovi attacchi alla vita

Davanti ai medici eroi che combattono nelle corsie degli ospedali, si prende di nuovo coscienza del valore intrinseco della vita. Ma c'è chi invece cerca di distruggerla

L’emergenza planetaria legata al Coronavirus, obbliga tanto gli Stati quando i singoli cittadini a ripensare la scala dei principi e dei valori che guidano la collettività. Le privazioni, le rinunce, il dolore per le vittime e i colpi già pesantissimi subiti dalle aziende e dalle famiglie riportano l’uomo sulle grandi domande di senso dell’esistenza. Vita, famiglia, fede, comunità di prossimità, solidarietà tra popoli, lavoro tornano al centro del cammino dell’uomo che dovrà riprogettare la sua vita sociale.

Davanti ai medici eroi che combattono nelle corsie degli ospedali, per salvare persone di qualsiasi età e ceto sociale, in molti prendono di nuovo coscienza del valore intrinseco della vita dal concepimento alla morte naturale.

Eppure in molte parti del cosiddetto mondo Occidentale la cultura dello scarto continua ancora ad incidere con misure mortifere nelle legislazioni degli Stati nazionali. Succede in Nuova Zelanda dove il 19 Marzo scorso, con la popolazione già raggiunta dalla pandemia, il parlamento ha trovato il tempo di approvare un disegno di legge che amplia notevolmente i termini dell’aborto. La nuova legge – votata in terza lettura con 68 voti a favore e 51 contrari – consente alle donne di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza entro le prime 20 settimane di gestazione.

L’aborto prima era limitato ad alcune fattispecie. Veniva consentito “solo” quando la donna era in pericolo per la sua vita, la sua salute fisica o mentale, o in caso di malformazioni del feto. Negli altri casi era considerato un crimine penalmente perseguibile, ai sensi del Crimes Act del 1961.

Andrew Little, il ministro della Giustizia, ha affermato che era attesa da tempo e che la procedura sarà da ora classificata come una questione sanitaria e non criminale. La normativa doveva essere sottoposta a referendum pubblico, ma il governo progressista, guidato dal partito laburista, ha scartato questa opzione. Il popolo è stato quindi privato del diritto di potersi esprimere su un tema fondante come quello della vita nascente. È dal diritto alla vita infatti che discendono tutti gli altri diritti.

L’unica aspetto positivo che si riesce a cogliere è che la coalizione parlamentare pro aborto ha perso il supporto di quasi 30 parlamentari in questi mesi di dibattito parlamentare. Segno che i parlamentari erano sempre più scettici sull’utilità di questa legge.

“D’ora in avanti gli aborti saranno giustamente trattati come un problema di salute”, ha detto il ministro Little in una nota, come se l’attesa di un bambino fosse semplicemente una patologia da trattare con mezzi del servizio sanitario. In queste affermazioni si intravede la gravidanza di nuovo ridotta ad un fatto privato, che perde così il suo enorme valore sociale che implica responsabilità condivise e precisi impegni dello Stato per consentire ad ogni madre di dare alla luce il proprio figlio.

Nel frattempo anche la parte finale della vita continua ad essere sotto l’attacco ideologico di proposte di legge mortifere. In Portogallo va avanti la discussione nelle commissioni parlamentari sul disegno di legge sull’eutanasia, dopo una prima approvazione già arrivata dalle Camere ma che aspetta il via libera del Presidente Marcelo Rebelo de Sousa. Un secondo voto finale, proposto dalla coalizione governativa di sinistra, è previsto per giugno ma il fronte pro life incassa anche il sostegno del Partito comunista che in un documento afferma che “Inscrivere nella legge il diritto di uccidersi non è un segno di progresso”. I comunisti si uniscono così ai conservatori nel ribadire che “la legalizzazione dell’eutanasia non può essere presentata come una questione di scelta o come una considerazione individuale”. Di sicuro la legge troverà un’opposizione robusta, il blocco sociale pro family e pro life ha già raggiunto il quorum per l’eventuale referedum abrogativo.