L’ISIS E LA TEOLOGIA DELLO STUPRO

Prima di stuprare una ragazza, il militante Isis sa che ciò che sta per fare non è peccato. Questo perché lei è solo una miscredente, e secondo lui il Corano non solo lo autorizza a farlo, ma anzi lo incoraggia. Per questo prima di iniziare l’atto si inginocchia e prega, azione che ripeterà al termine “dell’operazione”, perché è questo che consiglia il Califfo. “Ho provato a spiegargli che questo è sbagliato, lo imploravo di fermarsi” dice una delle schiave che è riuscita a fuggire, ma lui continuava a ripetere che “questo lo avvicinava a Dio”.

“Sono stata per tre volte a parlare alle Nazioni Unite. Qualcuno ha pianto, tutti hanno battuto le mani. Mi hanno detto ‘ci dispiace’, e poi ‘arrivederci'”. Sono le parole di Vian Dakhil, deputata yazida che per prima ha lanciato l’allarme denunciando la riduzione in schiavitù sessuale di migliaia di ragazze e bambine yazide da parte dei jihadisti. Non solo dunque l’ennesima descrizione di una violenza, ma una pratica diffusa e addirittura burocratizzata. Come ha rivelato un rapporto del New York Times, nel sedicente Califfato esistono dei veri e propri mercati delle schiave, in cui la “merce” è esposta e venduta in luoghi deputati. In particolare la tratta riguarda le donne Yazidi, minoranza religiosa irachena. Solo nello scorso anno le donne vittime di questo business sono state 5.270 e come confermano i capi della comunità, sono circa 3.144 le donne che ora sono in mano dei combattenti.  Lo scorso ottobre il settimanale dell’Isis ‘Dabiq’ ha spiegato come sia legittimo trattare le donne yazide come khums, spoglie di guerra. Il mese scorso il Dipartimento Fatwe dell’Isis ha spiegato che ‘è consentito avere rapporti anche se la ragazza non ha raggiunto la pubertà'”.

Dietro a questo mercato c’è una vera e propria burocrazia, con una rete di magazzini, dei pullman riservati per il trasporto delle ragazze, ma anche con i saldi di fine stagione, contratti notarili firmati dalla corte esecutiva dell’Isis.

Ovviamente, c’è stato bisogno di giustificare la pratica anche a livello teologico, in modo da farla diventare un vero e proprio strumento per reclutare uomini nelle parti in cui l’Islam è più conservatore, quelle zone dove il sesso è un tabù ed è addirittura vietato uscire con una ragazza. Non si tratta solo degli stupori delle violenze che accompagnano ogni guerra, ma anche di una teologia che cerca a ogni passo la sua giustificazione nel Corano e nella tradizione islamica. Per questo un corpo della politica interna si è occupato di redigere una guida con le regole per la schiavitù, rilasciata lo scorso mese dal Dipartimento Islamico di Ricerca di Stato e Fatwa. La stessa rivista ufficiale dell’Isis, Dahib – che spesso ha offerto letture e interpretazioni distorte del Corano – sostiene che in una società “islamizzata” deve essere ristabilita la pratica della schiavitù. “Prima che Satana riveli i suoi dubbi ai deboli di mente o di cuore – ha scritto Dabiq – ciascuno ricordi che ridurre in schiavitù le famiglie degli infedeli e prendere le loro donne come concubine è un aspetto della legge islamica stabilito in modo fermo. Se qualcuno lo negasse e lo mettesse in ridicolo starebbe negando e mettendo in ridicolo i versetti del Corano e gli insegnamenti del Profeta (pace e benedizione su di lui) e pertanto sarebbe apostata dall’islam”.

Nelle interviste rilasciate al New York Times, le ragazze che sono riuscite a fuggire raccontano la loro storia: dopo che i militanti hanno conquistato la loro terra nel nord dell’Iraq, hanno separato gli uomini dalle donne. A quel punto loro sono state caricate su alcuni camion, mentre i loro padri, fratelli, mariti sono stati fatti sdraiare a terra e arsi vivi. La meta del loro viaggio era Raqqa, dove si trova il Galaxy Wedding Hall, una grande struttura dove vengono registrate e poi smistate. Alcune vengono condotte direttamente nei campi dove si trovano i jihadisti, altre invece in vari mercati nel Paese. Arrivate là, vengono mandate nel “negozio”, dove si trova una stanza per “l’esposizione”, dove i clienti possono guardarle, separata dalla zona in cui vivono, vengono fotografate per essere aggiunte al “catalogo” del mercato, con il nome di Sabaya (Schiava) n°1, Sabaya n°2. Quando un compratore arriva vengono chiamate e “ispezionate” nude una alla volta, nel modo in cui l’uomo ritiene più opportuno.

L’Isis, dunque, non solo compie azioni di efferata violenza e disumanità, ma addirittura si vanta di essere il primo Stato islamico a “praticare la riduzione in schiavitù su vasta scala”, in quella che definisce la grande apostasia dell’islam moderno. Non che nel mondo di al-Qaeda – ricorda maliziosamente lo stesso Dabig – le uccisioni indiscriminate di non musulmani e anche la schiavitù non siano state praticate”, ma “si è cercato di evitare di farne una propaganda”. Lo Stato islamico invece si vanta del suo stesso estremismo.

Proprio ieri l’associazione contro la violenza sulle donne Telefono Rosa ha lanciato una petizione contro la schiavitù sessuale su donne e bambine yazide da parte dell’Isis. Un’occasione per far sentire la propria voce, e non girarsi sempre dall’altra parte.