Pari opportunità solo sulla carta

liliana ocminA che punto siamo in tema di pari opportunità? A questa domanda il nostro Paese è stato chiamato a rispondere attraverso la stesura del “ VII Rapporto dell’Italia sullo stato di attuazione della Convenzione sull’Eliminazione di ogni Forma di Discriminazione contro le Donne (CEDAW). Nel Rapporto in esame, rispetto al quale la Cisl – attraverso il Coordinamento Nazionale Donne – ha fatto le proprie osservazioni, vengono passate in rassegna, dal 2009 al 2014, tutte le principali norme e procedure messe in atto dal Governo Italiano per dare attuazione nel nostro Paese al principio della parità e delle pari opportunità tra uomini e donne.

Abbiamo fatto notare che il quadro che emerge dal Rapporto è, a nostro avviso, una rappresentazione non del tutto realistica della condizione sociale, lavorativa e familiare delle donne in Italia. Se, infatti, è vero che la nostra legislazione negli anni ha raggiunto buoni risultati, è altrettanto vero che non sempre le norme adottate si sono poi tradotte in buone prassi. Un esempio su tutti è la mancata applicazione delle misure contenute nell’art. 22 e successivi della L. 53/2000 nella parte inerente “i tempi della città”, misure che avrebbero dovuto promuovere politiche di sostegno alla conciliazione lavoro-famiglia ma che di fatto, salvo casi sporadici, non si è mai tradotta in “buone prassi” consolidate e soprattutto strutturate nel tempo.

Un discorso analogo può essere fatto anche in relazione agli interventi contenuti nel recente dlgs n. 80/2015, attuativo della legge delega n. 183/2014 (c.d. riforma Jobs Act), interventi che predisposti sempre nella logica di agevolare la maternità e la conciliazione vita-lavoro andranno monitorati nel tempo, quando cioè entreranno pienamente in vigore ma senza omettere il fatto che taluni di questi interventi, come nel caso dell’estensione dei congedi parentali valida fino a dicembre 2015, hanno per ora carattere provvisorio.

Come donne della Cisl siamo convinte che molto ancora resti da fare, soprattutto nella perdurante congiuntura di crisi economica che ha di fatto ridimensionato la centralità del tema delle pari opportunità, determinando una battuta di arresto alla crescita dell’occupazione femminile e alla parità tra lavoratori e lavoratrici. L’accesso delle donne al mercato del lavoro, infatti, è ancora oggi faticoso e purtroppo permangono numerosi ostacoli di carattere economico, familiare e culturale che impediscono una realizzazione piena dei principi di “Pechino” di empowerment e mainstreaming delle donne.

Nel “Rapporto” manca un’analisi oggettiva delle conseguenze della crisi economica cioè delle cause reali alla base della scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro che sono appena accennate e appare contraddittorio segnalare come una crescita occupazionale il solo aumento della manodopera straniera con lavori di cura trascurando che gli stessi sono nella maggior parte dei casi poco retribuiti, scarsamente qualificati ed esclusi da alcune tutele, come anche evidenziare l’aumento del lavoro part-time quale opportunità di flessibilità data alle lavoratrici per conciliare famiglia-lavoro omettendo che questa modalità – spesso involontaria – diventa sinonimo di precarietà lavorativa e di discriminazione economica con ripercussioni sulla carriera delle donne e sul loro futuro assegno pensionistico che si traduce in un vero e proprio gap tra i più alti d’Europa.