IL SINODO: INTEGRARE NELLA CHIESA I DIVORZIATI RISPOSATI

Chiesa

Dal Sinodo arriva un’apertura nei confronti dei divorziati risposati civilmente. Ne parla l’Instrumentum Laboris, messo a punto dai Vescovi per ampliare la Relatio dello scorso ottobre e in vista dell’assemblea ordinaria convocata dal Papa in Vaticano dal 4 al 25 ottobre. Nel documento è esplicita la richiesta che “l’attenzione e l’accompagnamento nei confronti dei divorziati risposati civilmente si orientino verso una sempre maggiore loro integrazione nella vita della comunità cristiana, tenendo conto della diversità delle situazioni di partenza”. Per quanto riguarda i Sacramenti, in particolare l’Eucaristia, a queste persone si spiega che “vanno ripensate le forme di esclusione attualmente praticate nel campo liturgico-pastorale, in quello educativo e in quello caritativo. Dal momento che questi fedeli non sono fuori della Chiesa, si propone di riflettere sulla opportunità di far cadere queste esclusioni”. Occorre poi prestare attenzione ai differenti aspetti “oggettivi e soggettivi” che hanno determinato “la rottura della relazione matrimoniale”. Molti voci, si osserva nell’Instrumentum, “mettono in evidenza che il dramma della separazione spesso giunge alla fine di lunghi periodi di conflittualità che, nel caso in cui ci siano figli, hanno prodotto ancor maggiori sofferenze. A ciò segue l’ulteriore prova della solitudine in cui si viene a trovare il coniuge che è stato abbandonato o che ha avuto la forza di interrompere una convivenza caratterizzata da continui e gravi maltrattamenti subiti”.

Si tratta di “situazioni per le quali si attende una particolare cura da parte della comunità cristiana, specie nei confronti delle famiglie monoparentali, in cui talvolta sorgono problemi economici a causa di un lavoro precario, della difficoltà per il mantenimento dei figli, della mancanza di una casa”. In ogni caso, “la condizione di coloro che non intraprendono una nuova unione, rimanendo fedeli al vincolo, merita tutto l’apprezzamento e il sostegno da parte della Chiesa”. Per quanto riguarda le relazioni familiari viene ricordato che la necessità della riconciliazione “è praticamente quotidiana a causa di vari motivi. Le incomprensioni dovute alle relazioni con le famiglie di origine, il conflitto tra abitudini radicate diverse, la divergenza circa l’educazione dei figli, l’ansia per le difficoltà economiche, la tensione che sorge a seguito della perdita del lavoro: ecco alcuni dei motivi correnti che generano conflitti, per superare i quali occorre una continua disponibilità a comprendere le ragioni dell’altro e a perdonarsi reciprocamente”. Ecco allora che “la faticosa arte della ricomposizione della relazione necessita non solo del sostegno della grazia, ma anche della disponibilità a chiedere aiuto esterno”. A questo proposito, “la comunità cristiana deve rivelarsi veramente pronta”. Poi, “nei casi più dolorosi, come quello del tradimento coniugale, è necessaria una vera e propria opera di riparazione alla quale rendersi disponibili. Un patto infranto può essere ristabilito – sottolinea documento – A questa speranza occorre educarsi fin dalla preparazione al matrimonio”.

Inevitabile un passaggio riservato alla necessità di “prendersi cura delle famiglie ferite – separati, divorziati, risposati – e far sperimentare loro l’infinita misericordia di Dio”. Ma se questo principio è condiviso da tutta la Chiesa, sulle modalità attraverso cui attuarlo le opinioni sono divergenti. Infatti, se da un lato “c’è chi ritiene necessario incoraggiare quanti vivono unioni non matrimoniali ad intraprendere la strada del ritorno”; dall’altro lato, “c’è chi sorregge tali persone invitandole a guardare avanti, ad uscire dalla prigione della rabbia, della delusione, del dolore e della solitudine per rimettersi in cammino. Certamente, affermano altri, quest’arte dell’accompagnamento richiede un discernimento prudente e misericordioso, nonché la capacità di cogliere nel concreto la diversità delle singole situazioni”. Il testo a “non dimenticare che l’esperienza del fallimento matrimoniale è sempre una sconfitta, per tutti”. Perciò, “dopo la presa di coscienza delle proprie responsabilità, ognuno ha bisogno di ritrovare fiducia e speranza. Tutti hanno necessità di dare e ricevere misericordia. Va comunque promossa la giustizia nei confronti di tutte le parti coinvolte nel fallimento matrimoniale: coniugi e figli”. La Chiesa ha il dovere di chiedere ai coniugi separati e divorziati di trattarsi con rispetto e misericordia, soprattutto per il bene dei figli, ai quali non procurare ulteriore sofferenza. Alcuni richiedono che anche la Chiesa dimostri un analogo atteggiamento nei confronti di coloro che hanno infranto l’unione.

I Vescovi sono, poi, d’accordo nel rendere “più accessibili ed agili, possibilmente gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale”. Da diverse parti si richiede anche “un incremento e un maggior decentramento dei tribunali ecclesiastici, dotandoli di personale qualificato e competente”. “Alcuni suggeriscono di istituire nelle diocesi un servizio stabile di consulenza gratuita – prosegue il documento – Circa la doppia sentenza conforme, larga è la convergenza in ordine al suo superamento, fatta salva la possibilità di ricorso da parte del Difensore del vincolo o di una delle parti”. Invece, “non riscuote unanime consenso la possibilità di un procedimento amministrativo sotto la responsabilità del vescovo diocesano, poiché alcuni ne rilevano aspetti problematici. Diversamente, c’è maggiore accordo sulla possibilità di un processo canonico sommario nei casi di nullità patente”. Quanto alla rilevanza della fede personale dei nubendi per la validità del consenso, si rileva “convergenza sull’importanza della questione” ma in una “varietà di approcci”.

Sul tema dell’omosessualità il testo sottolinea che “ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza, sia nella Chiesa che nella società”. sarebbe poi auspicabile che “i progetti pastorali diocesani riservassero una specifica attenzione all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale e di queste stesse persone”.

Il testo recepisce inoltre quanto approvato a maggioranza semplice (e dunque formalmente non approvato) alla scorsa assemblea straordinaria, sul tema delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. “Al riguardo – si legge – ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: ‘Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia’. Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. ‘A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione'”. Inoltre viene ribadito che “è del tutto inaccettabile che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il ‘matrimonio’ fra persone dello stesso sesso”.