La ri…Costituzione dei partiti

Nel Belpaese dei tanti scrittori (alzi la mano chi non ha, ritenendolo tale, un bestseller nel cassetto) e dei pochissimi lettori (leggere è un esercizio che richiede impegno) c’è un volume citato da tutti, conosciuto da molti, sfogliato da tanti, usato dagli eletti ma letto (sul serio) da pochissimi. Questo volume si chiama Costituzione, o Carta. È stato scritto dopo la seconda guerra mondiale, nell’Italia tornata libera, democratica e repubblicana. Chi ha scritto le frasi contenute nei 139 articoli non aveva la sfera di cristallo, ma lungimiranza e visione del mondo. Soprattutto del contesto che sarebbe venuto dopo di loro. Prevede tanto, certamente non tutto, ma è un documento che ha retto benissimo alla prova del tempo.

Di quello spirito, oggi, cos’è rimasto? Poco, se non addirittura nulla. Certo, la Costituzione è ancora lì, a tracciare in modo indelebile paralleli e meridiani della politica di casa nostra. Ma la sensazione, che in queste settimane ha assunto le sembianze del convitato di pietra, è che la Carta venga usata dalla politica come un oggetto contundente da lanciare contro amici e nemici. A colpi di articoli, insomma, si cerca di giustificare questa o quella scelta. Come sta avvenendo con l’articolo 49, nel silenzio (sospetto) generale. “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, recita il suddetto paragrafo della Costituzione che norma la vita dei soggetti politici. Ebbene il Pd, nei giorni scorsi, ha presentato una proposta di legge che mira “a dare piena attuazione all’articolo 49 della Costituzione”. Tra le prescrizioni è previsto che i partiti devono “acquisire la personalità giuridica, con l’iscrizione in un registro nazionale”, in modo che questo diventi “condizione necessaria per la presentazione delle candidature alle elezioni”.

Manca, invece, una regolamentazione per quanto riguarda il meccanismo di funzionamento delle primarie. Dopo il ddl di attuazione dell’”articolo 49″ arriveranno anche proposte per regolamentare le lobby e le fondazioni, punti spinosi su cui molta preoccupazione ha espresso il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone. Mettiamo da parte lobby e fondazioni e concentriamoci sui partiti.

La proposta del Pd, ovviamente, ha fatto inorridire il Movimento 5 Stelle, ma non solo loro. Nel solito fondo della domenica Eugenio Scalfari, sia pur all’interno di un articolato ragionamento sull’Europa, lancia l’allarme democratico. “Il disegno di legge sui partiti è molto preoccupante anche per il fatto che la legge si applica, una volta che sia stata approvata dal Parlamento, a tutti i partiti escludendo quelli organizzati come movimenti”, sostiene il fondatore del quotidiano La Repubblica”, sottolineando come “la sua importanza deriva però soprattutto dal fatto che è studiata su misura per il Partito democratico che, sulla base della sua attuale consistenza, è il maggior partito centrista che esista in Europa”.

Ovviamente le tesi di Scalfari sono di Scalfari come i dubbi dei grillini fanno parte del Movimento 5 Stelle. Dando per scontato, però, la necessità di dare ai partiti una forma giuridica rispondente ai tempi che corrono, magari imponendo bilanci trasparenti e conti in ordine, ciò che induce a riflettere è lo scenario che si apre con questo dibattito dietro al quale s’intravede il solito gioco dell’uso improprio della Costituzione, accentuato dal mito del superuomo, o dell’uomo solo al comando secondo la declinazione più in voga al momento, che rischia di essere frantumato dalla crescente richiesta di normalità.

Esigenza della quale si inizia a vedere i primi veri germogli, coltivati e annaffiati anche da chi ha provato a stare in equilibrio sul filo d’acciaio. Per esempio che senso ha il “registro” dei partiti? Davvero ci deve essere qualcuno che dà la patente, mettendo nell’angolo i movimenti? E la riforma dell’articolo 49 è davvero una priorità irrinunciabile? Forse c’è davvero qualcosa di eccessivo in questa visione, sin troppo “assoluta”.

Meglio la normalità della specificità. Fuor di metafora significa che anche il partito di Repubblica è sceso dall’Olimpo e ha iniziato a camminare fra la gente scoprendo che i bisogni reali sono più forti di quelli immaginati. E lo stesso presidente del Consiglio, proprio dalle colonne del quotidiano fondato da Scalfari, lancia un messaggio forte al paese reale sul tema della Scuola: “Io non faccio tutto bene, ci metteremo una settimana in più, ascolteremo tutte le voci e ci arriveremo”.

Nessuno è perfetto, per fortuna. Il risultato delle regionali, l’onda montante della protesta sul tema dell’immigrazione e del ruolo giocato dall’Europa, passando per le fibrillazioni nel mondo della scuola sono più che semplici segnali. Sono termometri sociali da non sottovalutare. E un premier normale diventa ancor più condivisibile se considera il dialogo e il confronto strumenti democratici e non fastidiosi accessori.

Certo, poi ha ragione nel dire che arriva un momento in cui è necessario decidere. Il problema è che fino ad oggi prima ha deciso e poi ha aperto la discussione. L’indicazione di un’inversione di rotta è un buon segno. Soprattutto se questo principio verrà applicato anche per la riforma dell’Articolo 49 della Costituzione. Che andrebbe considerata un evergreen, da far leggere obbligatoriamente a scuola, sull’autobus, in metropolitana…